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Il testo

Come  già è stato detto non si può dire che esista un testo del "Flos medicinae Salerni", sebbene ne esistano molti, tanti quante sono le varie redazioni, che compaiono nei singoli codici o nelle singole opere a stampa. Riguardo all'estensione, il più breve testo consta di otto versi e il più lungo, formato dalla riunione di tutti i frammenti sparsi, ne conta ben 3500 di varia provenienza, anche extrasalernitana. Il "codice archetipo" risale al secolo XIII, mentre la data dell'"editio princeps" non può essere ben stabilita perché le prime edizioni non riportano l'anno di pubblicazione. Tuttavia si può risalire al 1480.

E mentre i codici sparsi presentano profonde differenze tra di loro, le prime edizioni mostrano una maggiore uniformità, recando quasi tutte all'incirca 380 versi con commento.

Le redazioni più copiose comparvero per la stampa già nella prima metà del '500, e furono quelle curate da G.Curio a Francoforte, nel 1538 e 1545, recanti le prime interpolazioni. 

Altro momento importante della vita del "Flos", è rappresentato dall'edizione curata da Renato Moreau, edita a Parigi nel 1625, nella quale il testo, oltre ad essere molto interpolato, è accompagnato da un ampio commento munito di indice. L'edizione è dedicata al cardinale di Richelieu e nella prefazione si fa cenno alla leggenda della morte di Sibilla, moglie di Roberto di Normandia.

Un'altra edizione di notevole rilievo è quella di Zaccaria Silvio in Le Haye, nel 1649, nella quale compare il nome di Giovanni da Milano come presunto autore. L'edizione consta di 394 versi.

Nuovo aspetto il "Flos" assunse nella edizione curata da Chr.G.Ackermann e pubblicata a Stendhal, nel 1790, la quale ritorna al primitivo testo di Arnaldo da Villanova, senza alcun commento, ma preceduta da un'estesa prefazione sulla storia della scuola. Nel secolo scorso il De Renzi lo pubblicò di nuovo nella sua "Collectio Salernitana", cercando di ampliarlo quanto più fosse possibile. Ne uscì un testo multiforme, di 2130 versi, preceduto da una prefazione e da cataloghi bibliografici delle varie edizioni e traduzioni.

Il testo del "Flos", nella redazione ritenuta di Arnaldo da Villanova, presenta alcune particolarità letterarie e dottrinarie. Esso si presenta scindibile in due parti: l'una in esametri, ad eccezione di tre pentametri, e l'altra in versi leonini.

Il "Flos"composto in esametri é letterariamente buono, in quanto la metrica vi è rispettata e il contenuto dottrinario assume un taglio scientifico, essendo espresso con il linguaggio proprio del frasario medico. Spesso, nella parte dedicata alle piante medicinali, vi si trovano alcuni versi appartenenti al poema di Macer Floridus intitolato "De virtutibus herbarum".

La seconda parte si presenta invece in veste del tutto popolare ed è composta in versi leonini, tipicamente medioevali, a rima baciata o anche a rima interna tra le due parti di cui il verso è composto. Adoperati in larga misura da Leonio, canonico parigino vissuto intorno al XII secolo, essi si prestano bene in componimenti nei quali vi è l'introduzione di aforismi e proverbi, come nel caso della medicina popolare.

Il nesso che lega tra loro le due parti, la nobile e la popolaresca, è quanto mai debole. L'impressione che si riceve è quella di una infiltrazione prodottasi in un secondo tempo, una specie di corpo estraneo che interrompe l'armonia dei versi in esametri.

I primi otto versi leonini si distinguono comunque da tutti gli altri, perché letterariamente sono buoni e la metrica è rispettata. Ad essi fa eccezione il primo verso che è un esametro con significato di dedica e con esso si apre il poema didascalico: "Anglorum Regi scribit Schola toti Salerni". 

In questi otto versi si può dire che sia racchiuso un "Regimen sanitatis" a se stante, che riporta i punti essenziali delle "res non naturales" che sono alla base di siffatti componimenti igienico-didascalici. Si trattava di quei  fattori esterni, variabili, capaci di influenzare l'organismo, che andavano regolati in modo che la loro influenza riuscisse benefica e tale da mantenere l'organismo nello stato di salute. Essi erano: aria, cibo e bevande, moto e quiete, sonno e veglia, inanizione e replezione e, infine, gli accidenti dell'animo. Di questi fattori esterni, ben quattro sono richiamati "Flos": Motus animi, potus et cibus, motus et quies, repletio et evacuatio. Dopo comincia il "Regimen vero e proprio, iniziando "ex novo" dalla prima delle "res non naturales" e cioè l'"Aer", che rientra nella prima parte del Regimen,  dedicata all'igiene e all'alimentazione. La seconda parte riguarda le virtù delle piante officinali: ortica, ruta, salvia, etc., la terza riguarda l'anatomia del corpo umano, la quarta la fisiologia, la quinta l'ebbrezza, e le ultime parti, la terapeutica e l'etiologia.

Le prescrizioni inviate al re d'Inghilterra si ripetono nei precetti generali riportati nella prima parte del "Regimen Sanitatis": "Spiritus exultans facit ut tua floreat aetas", "l'anima allegra fa fiorire i tuoi anni"; "Vitam declinas tibi, sint si prandia lauta", "accorcerai i tuoi giorni se i pasti sono lauti". La Scuola, che ha già riconosciuto essere la gioia un fattore essenziale della salute, nel descrivere i piaceri della vita, apprezza altamente quelli che derivano da una buona alimentazione e raccomanda di cibarsi di saporite vivande e di bere vino invecchiato, senza però indulgere nei confronti della gola. 

I medici della Scuola ebbero inoltre la nozione della secrezione psichica della saliva e la considerarono un segno dell'appetito. Vi è quindi una concatenazione di fatti fisiologici che regolano l'assunzione del cibo e che indicano il momento opportuno della sua sua ingestione. La Scuola infatti avverte: "Non bibe ni sitias et non comoedas saturatus", "Non bere se non hai sete e non mangiare se sei sazio" e "Il cibo immoderato rende gli uomini ammalati, il cibo eccessivo opprime i ventre e il petto, sconvolge lo stomaco e arreca disturbo a tutte le membra". Come ben si vede, l'alimentazione è oggetto di vasta trattazione all'interno del "Regimen", tanto che alle diverse malattie i medici salernitani prescrivono differenti diete. L'importante è che all'infermo vengano dati i cibi che essi gradiscono, perché il corpo conserva maggiormente il suo vigore quando il desiderio è soddisfatto.

Tutto ciò nella logica dei principi e dei precetti ippocratici, perché bisogna ricordare che i Maestri salernitani, fino alla presa di contatto con la medicina araba, non si allontanarono in linea di massima dalle concezioni di Ippocrate, al quale informarono ogni dottrina e ogni pratica dietetica.

Paola Nigro

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