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Il reimpiego dall’eta’ tardo-repubblicana al V secolo d.c. secondo le ultime considerazioni di P. Pensabene

E’ di prossima pubblicazione nei Rendiconti dell’Accademia Pontificia l’ultimo contributo di Patrizio Pensabene (docente all’Università di Roma "La Sapienza" in Archeologia delle Province Romane") sulle complesse problematiche del reimpiego nel mondo antico e tardo-antico.

L’articolo risponde all’esigenza di tracciare un quadro d’insieme quanto più completo sul diverso modo di considerare e utilizzare le spoglie nell’antichità attraverso i secoli, ponendo in evidenza tutta una serie di fattori che hanno portato di volta in volta ad operare scelte differenti in questo settore: in particolare sono stati considerati l’aspetto economico legato al riutilizzo, i provvedimenti legislativi presi a riguardo dall’amministrazione imperiale, le differenti soluzioni adottate nell’edilizia pubblica e in quella privata, ed infine il significato simbolico che le spoglie hanno assunto in determinati momenti storici.

La ricerca, basata su un continuo dialogo tra dati archeologici e fonti letterarie ed epigrafiche, ha evidenziato, innanzitutto, un radicale cambiamento di attitudine nei confronti del reimpiego tra l’età tardo-repubblicana e imperiale piena e l’età tardo-antica.

E’ stato osservato, infatti, che in un primo momento il restauro di vecchi edifici e il riutilizzo di materiale di recupero furono poco praticati nell’architettura romana, soprattutto in ambito pubblico, in quanto in questo settore la costruzione o ricostruzione di un edificio diveniva un chiaro strumento di propaganda politica per chi si accingeva a promuoverne e finanziarne il progetto: per questo motivo, dunque, solo l’utilizzo di materiale nuovo, la disponibilità di marmi pregiati e l’impiego di artigiani altamente qualificati potevano garantire con sicurezza ai committenti, identificabili ora con la classe dirigente romana, ora con il senato, ora con lo stesso imperatore, la trasmissione di un’immagine fiorente di potere e ricchezza. La pratica del reimpiego sembra trovare delle limitazioni anche nella contemporanea edilizia privata, come attesta una serie di atti legislativi emanati dall’autorità centrale , probabilmente per arginare le possibilità di lucro legate al mercato di elementi architettonici di spoglio derivati da demolizioni talvolta non necessarie.

Fra gli esempi più interessanti proposti da Pensabene a conferma di quanto finora detto, ricordiamo in questa sede il quadro emerso per il principato d’Augusto, quando, come è noto, si assiste ad un forte rinnovamento edilizio soprattutto in ambito pubblico: ebbene, il confronto tra le notizie desunte dalle Res Gestae e i dati archeologici disponibili mostra come sia gli edifici di nuovo impianto che quelli restaurati tendono a non usufruire del materiale per così dire "usato", se non limitatamente a quei settori della costruzione non visibili al pubblico, quali ad esempio le fondazioni 1, i caementa2 dei conglomerati o le coperture dei tetti 3.

Il reimpiego su larga scala di elementi architettonici che conservano la stessa funzione originaria comincia a diffondersi solo nel III secolo d.C.: il fenomeno, documentato ad esempio nel restauro del portico in summa cavea del Colosseo e nella costruzione delle Terme di Diocleziano, è da mettere in relazione, secondo Pensabene, soprattutto ad una minore disponibilità di marmo lunense e ad importanti cambiamenti nell’amministrazione delle cave imperiali e nella distribuzione dei marmi. "E’ tuttavia l’età costantiniana che segna una svolta sostanziale nell’uso delle spoglie" (Pensabene) e l’arco di Costantino a Roma ne rappresenta in qualche modo l’emblema: in questo edificio il riutilizzo di rilievi storici che rappresentano Traiano, Adriano e Marco Aurelio risponde ad un chiaro programma di collegamento ideale del nuovo imperatore alla politica di buon governo in accordo con il senato, adottata da questi suoi predecessori. Analogo intento propagandistico si può notare nella costruzione della Basilica Lateranense che sembra prendere a modello la Basilica Ulpia traianea.

Se dunque il richiamo al passato si carica di profondi significati politici negli edifici pubblici, al contrario una serie di decreti emanati nel corso del IV secolo va limitando le spoliazioni di edifici antichi per un uso privato, ad eccezione di pochi casi tutelati dall’autorizzazione imperiale, che mostrano come il potere centrale, nella fattispecie l’imperatore, si riservi ogni decisione a riguardo.

Dalla seconda metà del IV e per tutto il V secolo la continua trasformazione urbanistica porta ad un prevalente intervento su aree già prefabbricate (trasformazioni, ricostruzioni di edifici antichi, ma soprattutto restauri conservativi) e al riutilizzo dell’apparato marmoreo antico già esistente, ora ripreso senza modifiche sostanziali ora rilavorato.

Questa politica conservativa risponde ancora una volta all’esigenza di istituire uno stretto legame con il passato, una sorta di continuità ideologica atta a legittimare o comunque a sminuire i profondi mutamenti storici e strutturali verificatisi nel tardo-impero.

Pensabene osserva, ad esempio, come le numerose iscrizioni commemorative e celebrative apposte sugli elementi architettonici di spoglio trovino proprio nel supporto quella garanzia di dignitas e decus di cui ha bisogno il messaggio propagandistico per essere ben accetto.

Tralasciando gli edifici pubblici per così dire pagani in cui è possibile rintracciare interventi di questo tipo (edifici nel Foro, edifici di spettacolo, ...), alcune considerazioni vanno fatte per i contemporanei edifici cristiani sempre di committenza imperiale, dove è stato osservato che, sebbene non manchi il riutilizzo di materiale di spoglio, è altresì testimoniata la presenza di elementi architettonici nuovi, sia provenienti direttamente dai luoghi di produzione, sia lavorati ex novo da officine urbane.

Pensabene sottolinea, inoltre, come i finanziamenti per questi edifici siano molto più consistenti rispetto a quelli stanziati per altre costruzioni, il che rivela come i nuovi edifici di culto cristiani vengano ora ad assumere una importanza politica particolare per gli imperatori.

Nell’edilizia privata di questo periodo, invece, continua a prediligersi l’uso di materiale nuovo, così come era avvenuto nei secoli precedenti.

1 nel Tempio della Magna Mater e nel Tempio della Vittoria sul Palatino gli elementi achitettonici delle fasi più antiche fu riutilizzati interi nelle fondazioni.

2 frammenti di lastre Campane augustee furono utilizzate come caementa nei muri del Santuario restaurato da Claudio, nell’area di scavo della meta Sudans.

3 Pensabene ricorda il caso di alcune tegole marmoree del Pantheon ottenute dal reimpiego di lastre funararie, tra cui quella famosa del monumento a Giulia, figlia di Cesare.

Ringrazio vivamente Patrizio Pensabene per avermi messo a conoscenza del manoscritto prima della pubblicazione.

Sabrina Violante

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