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Ciro Tammaro, Riflessione sul potere politico nel pensiero di John Duns Scotus: un'anticipazione della teoria sul contratto sociale     

SOMMARIO: 1. Introduzione: " potentia   absoluta " e " potentia ordinata ".   2. Il concetto di libertà   umana e di " persona ".   3.   Il   potere e   le sue forme; la fonte del potere politico: il contratto sociale. 4. Considerazioni critiche. 5. Conclusione.

1. Il filo conduttore di tutto il pensiero filosofico-giuridico e politico durante il Medioevo è caratterizzato dal principio fondamentale della sovranità della legge tanto sul singolo individuo che la amministra (il monarca), tanto sulla comunità, la quale è titolare del potere di verificare e statuire la " iustitia legis ". [1]

Di conseguenza, la teoria laicista della sovranità assoluta, che ebbe la sua affermazione soprattutto nei secoli XVI e XVII, ha un significato del tutto diverso dalla teoria sulla natura ed il fondamento del potere politico nel Medioevo, per la quale chi esercita la " potestas " - in quanto dotato di " auctoritas " -, non si pone su un gradino più elevato rispetto agli altri membri della comunità,   bensì è un " primus inter pares ", ossia uno strumento per l'attuazione della legge a beneficio dell'intero gruppo, della quale legge egli non è padrone, bensì servitore (" minister "). [2] Il sovrano, in definitiva, è uguale a tutti gli altri uomini, e conserva   l'esercizio del potere (non la titolarità, che rimane sempre divina) solo se si comporta secondo giustizia.

Il pensiero politico di John Duns Scotus si presenta, in tale contesto, ricco di acute dottrine speculative e di notevoli implicazioni pratiche. Con le brevi considerazioni che seguono, si intende delineare sinteticamente il concetto di potere secondo Scotus, nonché le varie forme del suo esercizio. E' evidente che il tema del potere - soprattutto quello politico - richiede un previo richiamo della dottrina scotiana sulla " potentia "   e sulla " libertas " di Dio e dei riflessi che tali prerogative divine producono nell'agire pratico - e, quindi, anche etico-politico - umano. [3]

Come è noto, di notevole rilievo, per il tema che si deve affrontare, è la differenza in Dio, secondo il pensiero di Scotus, tra una " potentia absoluta " ed una " potentia ordinata ", che individua il fondamento e l'essenza della libertà divina. La " potentia absoluta " è il potere che Dio ha in sé , ossia in qualità di Essere supremo e trascendente, e che, essendo effetto di una " libertas absoluta ", Egli può esercitare in qualunque momento lo ritenga opportuno ed indipendentemente dall'ordine che ha impresso al cosmo. La " potentia ordinata ", viceversa,   si manifesta nell'attività creatrice di Dio, ossia proprio nella legge dell'universo, nell'ordine razionale che Dio ha stabilito nel creato, di cui la stessa ragione umana è espressione. [4] In tale dualismo pare riconoscere il binomio " ragion pura "-" ragion pratica " che, sott'altra prospettiva ed in senso diverso, avrebbe alcuni secoli più tardi proposto il filosofo tedesco Emmanuel Kant. [5]

In Dio, si diceva, si esplicano le due " potentiae ", l'assoluta e l'ordinata, e dalla loro coesistenza ed interazione deriva l'inaccessibile mistero che la conoscenza umana non arriva a sondare, riguardante l'imprevedibilità ed alogicità dell'azione divina: una conseguenza essenziale della dualità di potenze divine risiede, infatti, nella consapevolezza dell'uomo che tutto il sapere razionale si fonda e si delinea sulla " potentia ordinata ", e perciò non   può considerarsi certezza assoluta perché   in qualunque momento Dio può prescinderne, con un atto della Sua volontà libero da qualsiasi vincolo. [6]

E' fondamentale comprendere, tuttavia che l'equilibrio tra la " potentia absoluta " e la " potentia ordinata " e la garanzia contro l'arbitrarietà divina, risiedono nell'affermazione di Scotus per cui Dio è   Sommo Amore   e per amore ha inviato il Suo figlio unigenito Gesù Cristo nel mondo. In sostanza, la dottrina dell'incarnazione consente a Scotus di superare, in prospettiva antropologica, l'incertezza costante derivante dalla consapevolezza del relativismo della ragione umana e della possibile continua - e imminente - prevalenza della potenza assoluta su quella ordinata, che priverebbe la conoscenza razionale di qualunque valore.

 

2.   Nell'ambito della dottrina di Duns Scotus sulla duplicità di " potentiae " divine, si innesta, come si è detto, la teoria del potere. Ma prima di toccare l'argomento centrale delle presenti osservazioni, va spesa qualche parola anche sul concetto di libertà umana, che è la fonte della " potestas ". L'uomo, come si è detto, nel momento in cui diviene cosciente che in Dio vi è una potenza assoluta ed una ordinata e che nell' " ordo rerum " vi è l'immagine stessa della " potentia ordinata ", riesce a superare la potenziale inquietudine   derivante dalla percezione della provvisorietà ed instabilità dei risultati della conoscenza razionale di fronte alla libertà assoluta - e, perciò, alla onnipotenza - di Dio solo con un atto di fede: [7] l'uomo " crede " che Dio sia Amore infinito e che per amore la onnipotenza di Lui lo possa portare anche a rinunciare alla sua stessa onnipotenza, garantendo il libero arbitrio all'uomo ed una generale, affidabile facoltà conoscitiva. [8] L'amore umano conduce quindi a cogliere l' " imago Dei " - in sé astratta e trascendente - nell' " imago Christi " concreta e storica, ossia con la fede totale in Gesù Cristo. [9]

Ma, dunque, se Dio per amore riconosce massima dignità alla persona umana e ne   rispetta, perciò, la libertà - come riflesso della propria libertà assoluta rivelata storicamente in Cristo (pur conferendo, si è detto, un valore semplicemente " probabile ", ossia relativo, alla conoscenza intellettiva) -, in cosa consiste effettivamente tale libertà umana derivata da Dio, e quindi necessariamente " non absoluta "?

Della libertà pare possa dirsi ciò che Aristotele diceva dei primi principi della dimostrazione, di cui non si dà dimostrazione, [10] e quello che Duns Scotus osservava a chi voleva sapere come coesistessero in Dio libertà e necessità: " non est quaerenda ratio eorum quorum non est ratio ". [11]

L'esistenza della libertà, perciò, appartiene a quella forma di esperienza umana, semplice, fondamentale e originaria, che si ritrova in ogni azione dell'uomo. Per questo motivo, Duns Scotus non si preoccupa tanto di dimostrarne l'esistenza, bensì di mettere in luce il meccanismo e la dinamica delle sue manifestazioni. In tal senso, quanto all'origine, la libertà è definita come " dono " di Dio rivelato in Cristo, e, in riferimento alla causa ultima dell'azione umana, affermando che la coscienza dell'uomo è idonea a svolgere azione di critica in rapporto ai diversi oggetti, Scotus ritiene che il modo di riferirsi ai molteplici oggetti sia fondamentalmente differente: l'intelletto si rapporta necessariamente come " natura ", mentre la volontà come " libertà ". Anzi, egli identifica esplicitamente la volontà con la libertà   e definendo la volontà come " potenza sufficientemente attiva e non determinata per sé verso un oggetto " [12]

La " sufficienza ", di cui parla Scotus, è da intendersi naturalmente nel senso che la volontà non riceve alcun atto dall'esterno per poter agire per sé, ossia non subisce l'influenza delle altre facoltà. Tale affermazione ha dato adito a diverse interpretazioni. Quella più diffusa è l'interpretazione ontologico-teologica della libertà nell'essere umano, che, in quanto derivante da Dio, non può che tendere, in ultima analisi, a Lui. [13]

L'altra interpretazione, meno conosciuta, si fonda sull'analisi strutturale dell'essere umano, che - per Duns Scotus - è una unità a più strati di formalità. In questa direzione, la teoria politica scotiana parte dall'assunto che il potere, in quanto riflesso della libertà umana, sia connesso al concetto di " persona ". [14]   Nel definire la " persona ", Scotus si ispira all'idea formulata da Riccardo di S. Vittore, per cui " intellectualis naturae incomunicabilis exsistentia ", e che sottolinea la caratteristica fondamentale della persona umana come esistenza unica ed irripetibile. Difatti, è proprio nell' incomunicabilità che Duns Scotus considera la ragione ultima della persona, sia divina che umana, ritenendo quella categoria non correlativa a nessun altra, in quanto la persona costituisce la realtà esistente in quanto esistente. Al concetto di " persona ", pertanto, è connaturata la qualità della " incomunicabilità ", che la rende, quindi, un'identità irripetibile. [15]

Per spiegare tale singolarità irripetibile, Scotus fa uso del concetto di " dipendenza ", distinguendolo in actualis , potentialis e aptitudinalis . [16] Al concetto di " persona " si richiede una duplice assenza di " dipendenza ", quella attuale e quella attitudinale; tale doppia indipendenza permette alla " natura intellettuale " di costituirsi " esistenza incomunicabile ",   ossia consente alla natura singolare di diventare la vera essenza costitutiva della persona. Alla struttura della persona, dunque, è connaturata, di per sé, la dipendenza potentialis , che viene identificata con quella dipendenza " radicale " e " ontologica " che ogni essere esistente ha con l'Essere infinito. [17]

La caratteristica della duplice assenza di dipendenza permette a Duns Scotus di definire la persona come " ultima solitudo ", nel senso che la persona umana è la realtà più perfetta dell'esistenza naturale, al di là della quale non c'è altra realtà che possa competere - eccetto Dio, che è la vera perfezione della personalità -; e che la sua perfezione è tale che, in casi limite, può vivere anche da sola, in quanto, di per sé, non ha bisogno di alcuno. [18] In linea ordinaria, però, Scotus riconosce che l'autoaffermazione del proprio essere - e, quindi, la consapevolezza di sé - si concretizza solo quando la persona umana entra in comunione spirituale con " altri ", cioè quando instaura relazioni sociali con altre persone. In tale contesto, la prima relazione che l'uomo istituisce è quella trascendentale con l'Essere infinito, frutto della propria naturale metafisica apertura all' " Altro ",   che fa " essere " l'uomo trascendendolo, nel rivelargli la sua finitudine metafisica. [19]  

All'immediatezza con cui l'uomo sperimenta la propria libertà ed il suo essere persona, si può, infatti, avvicinare anche quel sentimento con cui avverte originariamente la dipendenza fondamentale ed originaria del suo essere da qualcuno diverso da sé e trascendente, cioè " ab Alio ". La presa di coscienza critica di essa avviene, secondo Duns Scotus, attraverso un lungo e complesso itinerario che conduce a scoprire l'altro nella Persona divina, nell'Essere Infinito, dotato di assoluta Volontà ed assoluta Libertà, che vive necessariamente e liberamente, ed in cui necessità e libertà si identificano a tal punto che Egli vuole liberamente ed ama liberamente. [20]

Questa " apertura " al trascendente teologico è garanzia per l'apertura sociale verso gli " altri ". In questo modo, la persona umana supera la sua " solitudo " originaria e inizia insieme agli " altri " il cammino della speranza verso l' " Altro ". [21]

In tale dinamica, il potere politico si evidenzia come riflesso sociale della libertà dell'uomo di instaurare e gestire relazioni con altri uomini, ed attributo della persona umana, in quanto strumento per " organizzare " in questo mondo il suo cammino di apertura verso l' " Altro ", ossia per percorrere l'itinerario che porta alla salvezza eterna.

 

3. Va, in via preliminare, evidenziato che, purtroppo, Duns Scotus non ha mai trattato direttamente argomenti di natura socio-politica, il che rende particolarmente difficile ricostruire il suo pensiero a riguardo, anche in considerazione della estrema esiguità dei testi a disposizione sul tema, che, peraltro, sono sempre concepiti nel quadro di un rigoroso contesto teologico. L'aspetto più interessante dell'interpretazione di alcune sue dottrine in chiave politica risulta essere, in ogni caso, una sorta di anticipazione delle moderne teorie sul contratto sociale.

Nell'ambito della dottrina scotiana sulla doppia " potentia " divina - " absoluta " e " ordinata " -, vale a dire nel contesto della teoria sulla libertà di Dio, vengono precisate la natura del potere e le modalità del suo esercizio da parte dell'uomo. Si è detto che l'uomo, consapevole di tale duplice potenza di Dio, non può avere un criterio certo circa il fondamento del potere e contemporaneamente riguardo i suoi limiti. La derivazione di ogni forma di potere da Dio è dottrina comunemente accolta nel Medioevo, tuttavia, il problema che viene variamente risolto dai diversi Maestri riguarda, infatti, soprattutto il rapporto tra libertà divina e volontà umana razionalmente ordinata, che priva del carattere di assolutezza la deduzione logica del potere umano dalla volontà di Dio. [22]

Innanzitutto, va detto che per Scotus il potere di un uomo su di un altro uomo ha senso ed è giustificabile solo nel contesto di una umanità decaduta a causa del peccato. Il potere politico di per sé non è naturale nello " status innocentiae ". [23]   Nella quaestio 15 del IV libro dell' Ordinatio , difatti, Scotus   affronta direttamente il tema del potere politico e delle sue forme. [24] Dopo aver classificato la fonte del potere - l' " auctoritas " - in due forme (" paterna " e " politica ") ed aver precisato che l'origine dell'autorità paterna è nella natura stessa, una natura che è confermata dalla Scrittura [25] -   da cui riceve, cioè, un'ulteriore legittimazione [26] - passa a trattare del potere politico.

Duns Scotus, " in primis " osserva che tale potere - l'aspetto dinamico della " auctoritas politica " - viene esercitato " supra extraneos "; il riunirsi di un gruppo di persone in uno stesso luogo implica automaticamente il sorgere di una qualche forma di potere politico per organizzare la vita e l'attività del gruppo, nonché di un complesso di norme (il diritto) che regolino positivamente e stabilmente le azioni di ciascuno ed i rapporti con gli altri (" ubi societas, ibi ius "). E' a questo punto che Duns Scotus, in tale contesto, pare si dimostri come uno dei precursori della moderna teoria del contratto sociale, elaborata nel XVII secolo. [27]

Vi sono vari passi delle sue opere, infatti, in cui vengono utilizzate espressioni che rievocano l'istituto del " contratto sociale ": "E allora di comune accordo ( mutuo consensu omnium ), per la tranquilla convivenza tra di loro ( propter pacificam conversationem inter se habentem ), pensarono di nominare uno di loro a principe, al quale soltanto, durante la sua vita, come sudditi dovessero ubbidire; o sottostare a lui e ai suoi legittimi successori, secondo le condizioni da loro stabilite ( secundum conditiones, quales vellent ); così o così, come diversi sono i modi di governare: alcuni a vita e alcuni per elezione". [28] Leggendo questo passo viene da pensare alle argomentazioni che sarebbero state, alcuni secoli dopo, formulate da Thomas Hobbes [29] o da John Locke [30] - sebbene con approcci diversi -, nelle rispettive teorie sul patto sociale, oppure alla teoria della giustizia di John Rawls. [31]

D'altra parte, la stessa suddivisione delle fasi della vita umana in " status ante peccatum " (epoca dell'innocenza primordiale umana, anteriore al peccato originale) e " status post peccatum " (epoca posteriore al peccato originale, corrispondente all'inizio della civiltà umana) ricorda la distinzione tra stato di natura e stato civile, propria dei moderni contrattualisti. [32]

Va tenuto presente, tuttavia, che, diversamente da tali teorie laiciste, il contrattualismo di Duns Scotus non cade mai, evidentemente, nel relativismo perché il limite della validità del patto è sempre identificabile nella tutela della giustizia sostanziale, rigorosamente intesa come rispetto delle leggi divine, e cioè come valore trascendente. Come è noto, invece, i contrattualisti moderni, sulla scia del razionalismo francese [33] o dell'empirismo anglosassone, [34] introducono le categorie di bene (o interesse) individuale e bene (o interesse) pubblico (quest'ultimo inteso, in genere, come semplice interesse della maggioranza) e ritengono soddisfatta la giustizia del patto - e la conseguente giustizia della società su di esso costruita - ogniqualvolta tali interessi, puramente convenzionali, e quindi arbitrari, vengano tutelati. [35] E' chiaro che, rispetto alla teoria scotiana, il fine dell'esistenza umana si sposta, in tali dottrine, da una prospettiva sovrannaturale e trascendente ad una assolutamente materialistica ed immanente: l'uomo vive in questo mondo per realizzare il proprio benessere e la propria felicità; l'istinto di autoconservazione è la legge suprema che guida le azioni umane e lo Stato giusto è quello che riesce a garantire la sicurezza e ad assicurare la felicità dei consociati, o almeno della maggior parte di essi. I consociati sono coloro che hanno stipulato il contratto e che possono ritirarsi in qualunque momento dall'accordo preso, revocando il consenso prestato. Ma, fin tanto che il consenso permane, le regole di giustizia (Rawls più correttamente parla di " equità ", ossia di pari trattamento di casi simili) [36] vanno rispettate: nasce, dunque, nella filosofia politica inglese ed americana il concetto di gioco (" game ") per indicare una società ordinata che si fonda su un patto, e l'idea delle regole del gioco (" rules of game ") per indicare i principi convenzionali stabiliti con tale patto, che risultano giusti (indipendentemente dal loro contenuto) se ed in quanto accettati da tutti i contraenti. [37]

Ovviamente, Scotus è estraneo a tutte queste argomentazioni, perché è un uomo del suo tempo, un religioso, legato ai principi della società e della cultura medievale. Tuttavia, la sua intuizione - l'idea dell'accordo collettivo come base di una convivenza civile pacifica - concepita nel quadro religioso, sociale, politico, economico e culturale della sua epoca, risulta estremamente originale, a tal punto da consentirgli di essere qualificato, sembra, come uno dei primi filosofi contrattualisti della storia del pensiero politico.  

 

4. Si è appena detto che Scotus, nonostante si richiami allo strumento del contratto sociale come parametro per individuare - sotto il profilo giuridico-formale - la società politica giusta, va oltre il semplice principio " pacta servanda sunt ",   che assicura la mera legittimità dell'apparato civile, e esamina in maniera più approfondita - in ossequio alla natura teologica delle sue dottrine - la questione della giustizia sostanziale attuata dai governanti.

Una volta, cioè, che si è verificato l'aggregarsi di più estranei, i quali cercano la socialità, si è detto, come fatto naturale e vocazionale, ossia per attuare la piena realizzazione del concetto di persona umana (non   per tutelare meglio, sotto la spinta dell'istinto di autoconservazione, la propria sopravvivenza o un più adeguato benessere individuale contro il pericolo dello stato di natura - il " bellum omnium contra omnes " della teoria hobbesiana, dovuto alla circostanza che " homo homini lupus " [38] - ), viene stipulato il patto sociale. Tale patto, che ha la natura di un " pactum unionis et subiectionis ", implica la sottomissione di un gruppo ad un'istituzione, rappresentata da uno o più individui, ma sempre limitatamente " in hiis, quae non sunt contra legem Dei " [39] , in ciò che, cioè, non contraddica la legge divina e sempre che sia riconosciuta la capacità ad esercitare la funzione guida da parte di chi o di coloro cui si deleghi l'esercizio di alcuni aspetti della propria libertà, autolimitandola.

In tale contesto, Scotus delinea alcune regole di giustizia delle forme in cui si esercita il potere pubblico, individuandone, quindi, i limiti. La delega, mediante il contratto, di estranei ad una sola persona ed alla sua discendenza (come nel caso delle monarchie ereditarie), o ad una persona il cui successore dovrà essere eletto con le stesse procedure con cui fu eletto colui al quale succede (come nel caso di monarchie elettive) hanno lo stesso fondamento e valore della delega del potere di governo, per consenso o elezione a maggioranza, ad un organo collegiale. Infatti, in ogni caso il mandato ai governanti è legittimo, perché scaturisce sempre da procedure stabilite con un accordo al quale prendono parte tutti i consociati, che è espressione, dunque, di una volontà unanime del corpo sociale, indipendentemente dal tipo di procedura adottata.

Un'ulteriore e rilevante considerazione che permette di valutare la natura ed i limiti del potere politico nel pensiero di Duns Scotus, è quanto questi dice a proposito dei caratteri della legge positiva giusta . Tra tali caratteri non vi sono soltanto quelli già ricordati (la legittimità del potere politico esercitato dai governanti, assicurata dal consenso contrattuale unanime dei consociati; il fondamento naturale del potere non contraddetto dalla Scrittura, ossia l'esercizio di un potere giusto, su materie ed entro i limiti espressamente previsti o tacitamente consentiti dalla Legge positiva divina), ma anche la presenza in chi esercita il potere politico, e nei suoi collaboratori, della virtù della prudenza . " Ergo - conclude il testo in esame - habemus complete quomodo poterat condi lex positiva iusta, qui ab habente prudentiam in se, vel in conciliariis suis, et cum hoc habente auctoritatem istam aliquo dictorum modum in ista conclusione ". [40] La caratteristica del potere politico è, quindi, oltre alla non contraddizione con i voleri divini, una saggezza umana, un equilibrio personale di chi lo esercita, frutto sia del temperamento che della cultura e dell'esperienza vissuta, che fa del semplice governante, un governante " illuminato ". Difatti "la legge positiva esige giustamente nel legislatore prudenza e autorità"; la prudenza "affinché il legislatore faccia leggi che realmente siano secondo la retta ragione pratica e a vantaggio della collettività ( ut secundum rectam rationem practicam dictet quid faciendum pro communitate )", l'autorità "perché, come si dice, legge viene da legare, ma non qualsiasi legge di prudenza lega la comunità a qualcuno ( sed non quaecumque sententia prudentis legat communitatem ) se (il legislatore) non presiede a nessuno". [41]

In tale ultima argomentazione pare, in realtà, delinearsi in forma appena accennata, embrionale, la tesi che verrà poi sviluppata, sebbene parzialmente, già da Guglielmo d'Ockham e poi, in forma piena e definitiva - anche se in chiave laicista - dai contratttualisti moderni (soprattutto Hobbes e Rousseau), consistente nel diritto di resistenza e di ribellione del singolo individuo contro il potere politico ingiusto, e l'obiezione di coscienza contro la legge positiva immorale. [42]

La funzione del contratto sociale si evidenzia chiaramente anche in relazione a vari istituti che caratterizzano molte società civili. Per quanto concerne l'istituto della proprietà privata, ad esempio, Duns Scotus afferma che nello " status innocentiae ", senza le conseguenze del peccato, non vi era alcun bisogno della proprietà privata, perché tutti i beni erano in comune e ciascuno ne godeva liberamente senza arrecare danno alle esigenze altrui ( usus rerum secundum rectam rationem ita debet competere hominibus, sicut congruit ad congruam et pacificam conversationem et necessariam sustentationem ). [43]

Dopo la caduta nel peccato, la proprietà privata si rese necessaria per evitare le violenze e le discordie e per tutelare i diritti dei più deboli ( quia communitas omnium rerum esset contra pacificam conversationem, cum malus et cupidus occuparet ultra ea quae essent sibi necessaria ). [44] E' in tale contesto che interviene il patto sociale, nel momento in cui, cioè, i membri del gruppo si rendono conto che è opportuno stabilire convenzionalmente un criterio che consenta la tutela dei beni di ciascuno, per evitare appropriazioni indebite, conflitti, e la conseguente anarchia; di conseguenza, unanimemente delegano il legislatore a statuire in materia di proprietà privata. Il contratto sociale si pone, dunque, anche a fondamento dell'istituto della proprietà privata, la quale, perciò, non è di diritto naturale, né di diritto divino, ma di diritto positivo ( concessa licentia appropriandi et distinguendi communia, non fiebat actualis distinctio per legem naturalem, nec per divinam ). [45]

Anche la schiavitù, ed il conseguente diritto di alcuno di ridurre in schiavitù altri, non ha per Scotus alcuna giustificazione né di diritto naturale, né di diritto divino, ma solo di diritto positivo, allorquando i consociati decidano con il patto originario che è necessario od opportuno, per la tutela della pace e dell'ordine pubblico, prevederla in alcune sventurate circostanze di ordine storico-pratico, ossia come pena o come condizione di vinto in guerra. [46]

Infine, molto interessante è la valutazione che Scotus fa a proposito della pena di morte, che il contratto sociale può prevedere come giusta compensazione da parte di chi abbia commesso un crimine grave come l'omicidio; in tal caso la tutela dell'ordine pubblico esige che si deleghi a chi governa il potere di farsi vindice di giustizia. [47] Certamente, però, l'approvazione di Duns Scotus - sebbene eccezionale - verso tale istituto è legata alla mentalità ed agli usi del tempo, come la stessa storia della Chiesa insegna.    

 

5. Lo strumento del contratto sociale, dunque, si pone, nella dottrina di Duns Scotus, alla base del potere politico legittimamente esercitato; si tratta, in realtà, di uno strumento normativo giusto in sé, sotto il profilo formale, perché sostenuto dal consenso unanime dei membri della comunità che ne promuove la stipula.

I risultati di questo studio in proposito si possono così riassumere:

1) Il fondamento del potere umano presenta alcuni aspetti problematici, essendo la " potentia divina " non solo " ordinata ", ma anche " absoluta ". Il ricorso alla legge naturale (secondo l' " ordo rationalis ") può essere, quindi, talvolta non garantito. In ogni caso, la distinzione fatta, secondo il diritto naturale, tra potere paterno e potere politico è assolutamente valida, perché confermata dalla Volontà divina espressa nella Sacra Scrittura;

2) Nello stato d'innocenza primordiale umana (prima del peccato originale), il potere politico era superfluo. Dopo la caduta nel peccato, si rese necessario, per la tutela della pace sociale e dell'ordine pubblico, provvedere da parte dei membri della società civile a stipulare un contratto, con il quale delegare un governante ad esercitare tale potere, fissando i criteri ed i limiti di questo esercizio. Il potere politico giusto è, dunque, quello esercitato dal sovrano con prudenza e nel rispetto sia delle leggi divine che delle norme pattizie statuite dai consociati con l'atto di delega;

3) Duns Scotus può, perciò, a ragione, essere definito come uno dei primi filosofi contrattualisti della storia del pensiero politico umano, sebbene i caratteri del suo contrattualismo siano molto diversi da quelli, tipici, manifestati nelle moderne teorie del contratto sociale.

 

Prof. Ciro Tammaro
Studio Teologico Francescano di Nola (NA)

 

[1] Cf., in proposito, AA.VV. , Storia della Chiesa , dir. H. Jedin, IV, Milano, 1976, p. 67-70; 120 ss.

[2] Vedi R. W.- A. J. Carlyle , Il pensiero politico medievale , III, Bari, 1967, p. 486-487; W. Ullmann , Individuo e società nel Medioevo , p. Bari, 1974, p. 87-105.

[3] Sulla questione, ampiamente, cf. F. Corvino , Studi di filosofia medievale , Bari, 1974, p. 72-74; sugli effetti di tale influenza, individuati nello specifico ambito giuridico- politico, cf. G. Quadri , La filosofia del diritto nel pensiero cristiano , in: AA.VV., Grande Antologia Filosofica , V, Milano, 1954, p. 1026-1035.

[4] S. Vanni Rovighi , Elementi di Filosofia , III, Brescia, 1962, p. 134-139; A. S. Brett , Liberty, Right and Nature: Individual Rights in Later Scholastic Thought , Cambridge, 1997, p. 39-40.

[5] Per tale analogia, cf. E. Severino , Storia della Filosofia , II, Milano, 1992, p. 43. Tuttavia, si tratta di un'analogia in buona sostanza imprecisa, in quanto se è vero che Kant pone un limite alla capacità dimostrativa della ragione in sede metafisica, è anche vero che per Scoto, viceversa, non sono solo le verità metafisiche che sfuggono alla conoscenza razionale - e, comunque, alla certezza umana -, ma è l'intera conoscenza, perché fondata su una " potentia ordinata " costantemente esposta ad una possibile smentita da parte della " potentia absoluta ", autentica dimensione ed essenza della libertà e della logica divine.

[6] Cf. O. Todisco , Giovanni Duns Scoto filosofo della libertà , Padova, 1996, p. 89-90.

[7] In tal senso B. Bonansea , L'uomo e Dio nel pensiero di Duns Scoto , Milano, 1991, p. 37-38.

[8] Cf. B. Landry , Duns Scot , Paris, 1922, p. 47.

[9] Così E. Gilson , Jean Duns Scot , Vrin, Paris, 1952, p. 339.

[10] Cf. Aristotele , La Metafisica , IV, cap. 6, 1011a.

[11] Duns Scotus , Quaestiones quodlibetales , q. 16, n. 9.

[12] Cf. Idem , Ordinatio , I, d. 45, q. un., n. 11; I, d. 13, q. un., n. 50; I, d. 13, q. un., n. 56.

[13] Cf. B. Landry , Duns Scot , p. 51-53.

[14] J. Cerqueira Gonçalvez , La contingence de la nature et la distinction d'essence et d'existence chez Duns Scot , in: AA.VV. , La filosofia della natura nel Medioevo , Milano, 1966, p. 478-484.

[15] Cf. Duns Scotus , Ordinatio , I, d. 23, q. un., n. 15.

[16] Cf. Idem , Quaestiones quodlibetales , q. 19, n. 19.

[17] Cf. Idem , Ordinatio , III, d. 1, q. 1, n. 17.

[18] Così P. Vignaux , Métaphysique de l'Exode et univocité de l'être chez J. Duns Scot , in: AA.VV. , Celui que est , Paris, 1986, p. 119.  

[19] O. Todisco , Giovanni Duns Scoto filosofo della libertà , p. 96-98.

[20] Cf. Duns Scotus , Quaestiones quodlibetales , q. 16, n. 2.

[21] Cf. E. Gilson , Jean Duns Scot , p. 347.

[22] In tal senso M. B. Crowe , Nature and Natural Law in John Duns Scotus , in: AA.VV. , La filosofia della natura nel Medioevo , p. 490.

[23] Cf. Duns Scotus , Ordinatio , IV, d. 15, q. 2.

[24]   Cf. ibidem : " duplex principatus vel auctoritas, scilicet paterna et politica, et politica duplex, scilicet in una persona, vel in communitate ".

[25] Cf. ibidem : " nec ista per legem aliquam mosaicam vel evangelicam est revocata, sed magis confirmata ".

[26] Si osservi che Scotus dichiara innanzitutto che tale autorità (paterna) non è revocata da alcuna legge divina positivamente rivelata, come ad evidenziare che non basta la natura a legittimarne il fondamento: l'ordine naturale non è assoluto, in quanto frutto della " potentia ordinata " di Dio; il fondamento è nella libera volontà divina, cioè nella " potentia absoluta " di Dio. Nel caso dell'autorità paterna, dunque, la Scrittura, in cui tale assolutezza si deve ritenere espressa, non revoca, ma piuttosto conferma.

[27] Cf., infatti, Duns Scotus , Reportata parisensia , IV, d. 15, q. 2, n. 7; q. 4, nn. 10-11.

[28] G. Duns Scoto , Antologia , a cura di G. Lauriola, Bari, 1997, p. 502-503.

[29] Cf. T. Hobbes , Il Leviatano , Bari, 1990, soprattutto p. 21-57.

[30] Vedi J. Locke , Saggio sul governo civile , Torino, 1986, p. 12-78.

[31] Cf. J. Rawls , Una teoria della giustizia , Milano, 1993, p. 32-36

[32] Tale distinzione talora viene considerata come una mera esigenza logica (T. Hobbes), talora come un vero e proprio fenomeno storico (J. Locke, J. J. Rousseau) (sull'argomento, ampiamente, cf. AA.VV., Il contratto: un'ipotesi di giustizia , in: Fondamenti . Rivista quadrimestrale di filosofia, 2 (1985), soprattutto p. 32-59.

[33] Cf., ad esempio, C. L. de Montesquieu , Lo spirito delle leggi , Torino, 1952.

[34] Vedi, in tale direzione, D. Hume , A Treatise of Human Nature , London, 1740; J. Bentham , An introduction to the Principles of Morals and Legislation , Oxford, 1789.

[35] Cf. J. S. Mill , Utilitarianism , London, 1863 (trad. it., Bologna, 1981, p. 57-58).

[36] Cf. J. Rawls , Una teoria della giustizia , p. 21-60.

[37] Cf. J. Buchanan-G. Tullock , Il calcolo del consenso , Milano, 1978, p. 32-33; J. Harsanyi , Comportamento razionale ed equilibrio di contrattazione , Milano, 1985, p. 16-20; K. Arrow , Equilibrio, incertezza, scelta sociale , Bologna, 1986, p. 72-75.

[38] Cf. T. Hobbes , Il Leviatano , p. 67, 71-72.

[39] Cf. Duns Scotus , Ordinatio , IV, d. 15, q. 2.

[40] Cf. Ibidem , n. 6.

[41] G. Duns Scoto , Antologia , p. 502-503.

[42] Cf. T. Hobbes , Il Leviatano , p. 120-122; J. J. Rousseau , Il Contratto sociale , p. 134-138.

[43] Cf. Duns Scotus , Ordinatio , IV, d. 15, q. 2.  

[44] Cf. ibidem .

[45] Cf. ibidem .

[46] Cf. Idem , Reportata parisiensia , IV, d. 36, q. 2.

[47] Cf. Idem , Ordinatio , IV, d. 15, q. 3.


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