|   Il problema della discendenza dei moderni templari dall’antico 
        ordine del tempio: una breve nota storico-giuridica sulla bolla “Vox 
        in excelso” (22 marzo 1312)
 1. Considerazioni preliminari
 
 Come è noto a chi abbia un po’ di conoscenza di storia del 
        Medievo, l’Ordine del Tempio è uno dei più antichi 
        Ordini monastico-militari della cristianità, fondato da Hugues 
        de Payens a Gerusalemme nel 1119 e soppresso da Papa Clemente V in seno 
        al Concilio di Vienne, nel 1312.
 Alle origini, fu fondato per difendere il regno latino di Gerusalemme, 
        insieme ad altri Ordini militari, come quello degli Ospedalieri (i futuri 
        Cavalieri di Malta), dei Teutonici, ecc.; si trattò di un ritorno 
        alla funzione cavalleresca, che volle dire organizzare “ordini di 
        cavalleria” di qualche organismo ecclesiastico nato dalla Prima 
        Crociata. In realtà, le iniziative che negli anni intorno al 1100 
        condussero alla nascita dell’Ordine dei Templari, degli Ospedalieri 
        e di altri affini, furono completamente individuali e spontanee, come 
        pure lo furono, dopo gli ultimi anni dell’ XI secolo, quelle dei 
        fondatori di organismi come Grandmont, Cîteaux, ecc.
 In entrambi i casi di monachesimo, infatti, la volontà di creare 
        un Ordine militare si inserì in un progetto politico molto chiaro 
        e di ampio respiro del Papato, che si incentrò nella lotta per 
        la fede. L’idea fondamentale di Urbano II era, già quando 
        predicava la crociata nel 1095, di collocare questa lotta al di fuori 
        dell’influenza dei laici; non c’è da sorprendersi, 
        perciò, se la forza militare nell’Oriente latino si organizzò 
        - pur nelle diverse forme che riflettevano la molteplicità delle 
        funzioni da svolgere nell’ambito di tale disegno - in Ordini religiosi, 
        sfuggendo in tal modo all’influenza dei principi e del feudalesimo. 
        Questa stessa volontà di collocare funzioni secolari in un contesto 
        ecclesiale era alla base della filosofia politico-religiosa di San Bernardo, 
        la stessa figura il cui pensiero venne recepito dalla Regola del Tempio.
 La cavalleria che si costituì in tale ottica fu, dunque, connessa 
        ad un obiettivo immediato - la lotta contro gli Infedeli - e ad uno mediato 
        o di lungo periodo - stabilire un potere teocratico sul mondo cristiano 
        -. Gli Ordini cavallereschi, in buona sostanza, presero il posto del monachesimo 
        rinnovato con la riforma gregoriana. Dopo l’austerità cistercense, 
        l’eroismo dei Templari costituì la forma ideale dell’offerta 
        totale di sé stessi, in attesa della povertà degli Ordini 
        mendicanti nel secolo seguente. Fu dunque in tal modo che teoria e prassi 
        - fede e azione - si combinarono e si allearono nel corso del 1100.
 L’Ordine degli Ospedalieri ebbe una funzione particolare, e fu quella 
        di assicurare ai pellegrini, e più in generale ai cristiani in 
        Terra Santa, quei soccorsi materiali e morali che in Occidente erano forniti 
        da associazioni di beneficenza e carità fondate dalla Chiesa: l’assistenza 
        ai poveri, ai malati, l’ospitalità ai viaggiatori. Molto 
        diversa fu la funzione dei Templari: proteggere in Oriente quegli stessi 
        cristiani non combattenti, vale a dire garantire la sicurezza delle strade 
        di quell’Oriente latino nato dalla crociata. I Templari furono i 
        gendarmi dei Luoghi Santi. E’ evidente, fin dai primi tempi della 
        conquista, che la crociata restò un momento d’eccezione. 
        La cristianità d’Oriente aveva bisogno di una forza militare 
        permanente. Con assoluta naturalezza, l’Ordine del Tempio assunse 
        questa funzione.
 
 2. Perché i Templari furono distrutti?
 
 Dopo questi rapidi e necessari rilievi introduttivi, e prima di venire 
        all’argomento principale, una questione su cui vale la pena soffermarsi 
        brevemente - e che da sempre gli storici hanno tentato di risolvere - 
        è: perché i Templari furono drasticamente eliminati?
 Certamente, l’importanza che assunse la funzione di difesa dell’Oriente 
        latino soggetto alla costante minaccia dell’Islam, indusse i Templari 
        a scatenare, ad un certo punto, una concorrenza con gli altri Ordini - 
        soprattutto gli Ospedalieri - che si manifestò spiacevole addirittura 
        sui campi di battaglia. Ne fecero le spese sia la difesa della Terra Santa 
        che il prestigio stesso degli Ordini. Peraltro, il fallimento finale dell’impresa 
        teocratica con l’avvento di un vero e proprio re a Gerusalemme, 
        misero il Gran Maestro dei Templari e quello degli Ospedalieri in posizione 
        precaria nei confronti di un effettivo potere politico. Va, inoltre, segnalato 
        che l’Ordine del Tempio e quello dell’Ospedale contribuirono 
        con la loro progressiva insubordinazione nei confronti del Papa all’indebolimento 
        di quella cristianità orientale di cui furono in origine i pilastri 
        e di cui avrebbero dovuto essere la forza militare con funzioni permanenti 
        di polizia. Per lo meno, gli Ospedalieri riscattarono il loro atteggiamento 
        politico con la loro funzione caritatevole. Per quanto riguarda i Templari, 
        invece, li si ammirò finchè furono vincitori - straordinariamente 
        forti, frequentemente eroici - ma, dopo la caduta d’Acri nel 1291, 
        si cominciò a dimenticare il loro eroismo, e - viste le difficoltà 
        tra le quali essi si ritrovarono a svolgere il loro ruolo, nell’ambito 
        di un contesto storico e politico mutato rispetto agli anni precedenti 
        - sorse il problema, sollevato a più voci da Oriente e da Occidente, 
        di quanto irrilevante fosse divenuto il loro ruolo ed inutile, ormai, 
        la loro presenza.
 Altro elemento fondamentale, da non trascurare per identificare le cause 
        della soppressione dei Templari, è identificabile nel fatto che 
        questi ultimi - come anche gli Ospedalieri - si fossero arricchiti troppo 
        e molto rapidamente, inserendosi nel novero dei proprietari terrieri, 
        dei beneficiari di rendite agrarie, dei possessori di denaro. La loro 
        forza, ad un certo punto, fu di assicurare grossi trasferimenti di capitale, 
        potendo incidere con i loro interventi finanziari sull’intera economia 
        medievale, e quindi sulle sorti dei governi delle varie nazioni. Nel caso 
        degli Ospedalieri, tuttavia, il ruolo di “manipolatori di denaro” 
        fu bilanciato e compensato dalla loro funzione assistenziale, che li conservava 
        “utili” di fronte all’opinione pubblica e soprattutto 
        dinanzi alla cristianità; i Templari, invece, oscurandosi il loro 
        prestigio per la perdita di senso e di valore del proprio compito “bellico”, 
        si ridussero ad esercitare - come funzione attiva - esclusivamente quella 
        dell’esercizio del credito, configurandosi ad un certo punto come 
        dei “banchieri puri”, capaci di assicurare o di rifiutare 
        ingenti prestiti agli Occidentali in Europa o durante i pellegrinaggi 
        in Terra Santa, grazie alla quantità di liquidità disponibile 
        in ogni sede del Tempio, ma suscitando così anche l’irritazione 
        di molti, in quanto le commende templari europee non erano più 
        la fucina di valorosi guerrieri, ma soprattutto degli sfruttamenti demaniali, 
        così come i centri di reclutamento di nuovi membri e le case di 
        riposo non avevano più ragion d’esistere, ma apparivano come 
        dei rami secchi, ormai privi di linfa vitale. Rami da tagliare, dunque.
 Si incominciò, dunque, da varie parti a parlare di riforma, soprattutto 
        dopo il 1291. Dato che i Papi non cessavano di fare appello ad una ulteriore 
        futura crociata - auspicata, peraltro, dagli stessi Templari per tentare 
        di riscattarsi dalle ultime vicende poco edificanti -, si pose il problema 
        di come organizzare la nuova cavalleria incaricata di tale missione al 
        servizio della Chiesa. Le idee scaturirono da più fronti, sia nell’ambito 
        dei corpi politici che facevano capo al Romano Pontefice, sia dalle corti 
        dei principali sovrani d’Europa. La proposta emergente fu la seguente: 
        perché non unificare i vari Ordini cavallereschi, ormai troppo 
        dispersivi ed articolati, a vantaggio di un Ordine nuovo, o magari anche 
        a favore di uno solo di quelli antichi? Se la fede è unica, è 
        giusto che anche la milizia della fede debba essere unica.
 Il Gran Maestro dei Templari Jacques de Molay - in carica già dal 
        1298 - si oppose con tutte le proprie forze al progetto di fusione, intuendo 
        probabilmente che - secondo una precisa volontà politica sempre 
        più marcata delineatasi sia in Oriente che in Occidente - l’Ordine 
        del Tempio ne avrebbe fatto le spese più di tutti gli altri. Egli 
        scrisse al Papa Clemente V, nel 1306, per far presente che un solo Ordine, 
        invece che più, voleva dire un solo Gran Maestro invece che diversi, 
        il che avrebbe potuto significare un accentramento di potere nelle mani 
        di un solo uomo, pericoloso per la Chiesa e per i sovrani d’Europa; 
        le elemosine si sarebbero, peraltro, dimezzate; una parte dei monaci-cavalieri 
        - complessivamente troppo numerosi - avrebbe dovuto rinunciare al proprio 
        ruolo a vantaggio della nuova milizia specializzata; infine, Molay, nello 
        stesso senso, mise in guardia il Papa contro un calo di motivazione e 
        di impegno da parte dei guerrieri: la rivalità tra più Ordini, 
        viceversa, suscita competizione, emulazione e crea ideali, e rende così 
        un migliore servizio alla cristianità.
 Purtroppo, Clemente V era un Papa piuttosto debole e passivo, soggiogato 
        - come si verificò per tutti i Papi durante la “cattività 
        avignonese” - dall’autorità dei sovrani di Francia, 
        in questo caso di Filippo IV il Bello. Il Pontefice, dunque, aveva in 
        tutta questa vicenda come unica preoccupazione solo quella di evitare 
        problemi; conseguentemente accolse - informalmente - la richiesta di Molay 
        e lasciò tutto come era prima, astenendosi dall’unificazione. 
        Solo se la crociata si fosse effettivamente realizzata, allora si sarebbe 
        affrontata la questione della riforma degli Ordini.
 All’improvviso, lo scandalo: un fuoriuscito denunciò l’Ordine 
        del Tempio: sodomia, eresia, apostasia. Clemente V tentò di tergiversare, 
        prendendo tempo, evitando di andare in fondo ad un affare che si profilava 
        molto pericoloso. Allora, il 13 ottobre 1307, all’alba, tutti i 
        Templari di Francia vennero arrestati per ordine del re. Filippo il Bello 
        mise, dunque, Clemente V dinanzi al fatto compiuto: il Papa non potè 
        più temporeggiare.
 
 3. Il processo ai Templari
 
 Filippo il Bello non aveva deciso di giudicare direttamente il Tempio: 
        non aveva alcun titolo a farlo ed i suoi giuristi sicuramente ne erano 
        a conoscenza. Tuttavia, egli si considerava (come era già ampiamente 
        emerso nel conflitto con il Papa Bonifacio VIII) quale custode della fede 
        nel suo regno, perciò riteneva che fosse suo diritto esigere che 
        il Papa facesse il proprio dovere.
 Il primo interrogatorio fu condotto dai commissari del re, un secondo 
        dalla commissione dei Cardinali finalmente designati da Clemente V; in 
        proposito il Pontefice dichiara nella Bolla “Vox in excelso”: 
        “Già dalla nostra elevazione al sommo pontificato...qualche 
        segreta informazione ci rendeva noto che il maestro, i priori, e altri 
        frati della Milizia del Tempio di Gerusalemme, e l’Ordine stesso, 
        erano caduti in una innominabile apostasia, contro lo stesso signore Gesù 
        Cristo, nella scelleratezza di una vergognosa idolatria, nel peccato esecrabile 
        dei sodomiti e in varie altre eresie...Ma poi il nostro carissimo figlio 
        in Cristo Filippo, illustre re dei Francesi, cui erano stati rivelati 
        gli stessi delitti...dopo essersi informato il più ampiamente possibile 
        dei fatti predetti, per ragguagliarci e informarci a questo riguardo, 
        ci ha fatto pervenire per mezzo di ambasciatori o di lettere, molte e 
        gravi notizie...Ma infine per voce comune o per la clamorosa denunzia 
        di tale sovrano, di duchi, conti, baroni, ed altri nobili, di chierici 
        e di membri del popolo di Francia, venuti alla nostra presenza proprio 
        a questo scopo...giunse alle nostre orecchie - lo diciamo con dolore - 
        che il maestro, i priori e altri frati di questo ordine, e l’ordine 
        stesso, erano coinvolti in questi e molti altri crimini. Ciò sembrava 
        provato da molte confessioni, attestazioni e deposizioni dello stesso 
        maestro, del visitatore di Francia e di molti priori e frati dell’ordine 
        presentate davanti a molti prelati e all’inquisitore per l’eresia; 
        deposizioni fatte e ricevute nel regno di Francia previo interessamento 
        dell’autorità apostolica, redatte in pubblici documenti, 
        e mostrate a noi e ai nostri fratelli...Allora, volendo conoscere la verità 
        su tutto quanto e se fossero vere le loro confessioni e deposizioni...presentate 
        a noi e ai cardinali pubblicamente dallo stesso inquisitore, abbiamo dato 
        incarico e mandato ai nostri diletti figli Berengario, allora cardinale 
        del titolo dei ss. Nereo ed Achilleo, ora vescovo di Frascati,...Stefano, 
        cardinale del titolo di s. Ciriaco alle Terme, e Landulfo, cardinale del 
        titolo di sant’Angelo...perchè essi...cercassero con diligenza 
        la verità e ci riferissero qualunque cosa avessero trovato su queste 
        persone e presentassero alla nostra autorità apostolica le loro 
        confessioni e deposizioni...”.
 L’esito di entrambi gli interrogatori fu concorde e si rivelò 
        a sfavore dei Templari: “...allora il maestro generale, il visitatore 
        e i priori...dopo aver prestato giuramento sui santi evangeli di dire 
        in proposito la pura e completa verità...uno per uno, liberamente, 
        spontaneamente, senza alcuna costrizione o timore, fecero la loro deposizione 
        e, fra le altre cose, confessarono di aver negato Cristo e di aver sputato 
        sulla croce, al momento dell’ammissione nell’ordine dei Templari; 
        alcuni di essi confessarono anche di aver ricevuto molti frati nella stessa 
        forma, esigendo, cioè, che si negasse Cristo e si sputasse sulla 
        croce...”.
 Sicuramente, lo storico - al di là del racconto contenuto nella 
        Bolla - può a buon diritto tener conto delle circostanze contingenti 
        in questa trama di accuse gravi - e ciononostante accettate -, e tentare 
        di indagare nei meandri della nascosta realtà sottostante. I Templari 
        non detenevano certamente, all’epoca, il monopolio della sodomia, 
        come neanche quello dell’ambiguità teologica. Dato che, tuttavia, 
        la volontà politica delineatasi a più riprese mirava ad 
        annientare l’Ordine, non dovette essere difficile, per dei giuristi 
        e teologi, mettere in difficoltà dei rudi soldati a colpi di sottigliezze 
        dogmatiche. I Templari avevano venerato un reliquiario sotto forma di 
        busto come ce ne erano tanti nelle chiese medievali; un secolo di tradizione 
        orale trasmessa dal vecchio soldato al più giovane bastava a fare 
        del reliquiario una “testa barbuta di aspetto terrificante” 
        (il famoso “bafometto”) e, della semplice venerazione, una 
        colpevole adorazione. Il templare era in possesso di una cultura limitata. 
        Sapeva, forse, che venerare è una pratica di devozione e che adorare 
        è un crimine se non si adora Dio stesso? Il templare comune comprendeva 
        forse la portata del suo gesto quando piegava il ginocchio?
 Detto ciò, perché effettivamente Filippo il Bello si accanì 
        fino a questo punto contro i Templari? Si è detto e si è 
        scritto che l’Ordine del Tempio cadde perché il re voleva 
        appropriarsi dei suoi beni e che, a questo scopo, avrebbe addirittura 
        manipolato le prove o precostituito prove false nel processo contro di 
        esso. Certamente, non si può negare che il sequestro del tesoro 
        dell’Ordine abbia procurato al re, per diversi anni, un singolare 
        credito - grazie alle cospicue rendite che ne derivavano -, annullando 
        in questo modo i debiti che la corona francese aveva verso il Tempio. 
        Tuttavia, dopo l’estinzione dei Templari, tutti i loro beni vennero 
        affidati all’Ordine degli Ospedalieri - come stabilì la stessa 
        Bolla “Vox in excelso” -, quindi non rimasero nelle mani di 
        Filippo il Bello, neanche parzialmente. Allora, perché questo re, 
        in grado di chiedere prestiti a città, banche, ed al Tempio stesso, 
        si era assunto l’enorme incarico della gestione delle proprietà 
        dei Templari, dal momento che gli era senz’altro possibile chiedere 
        a prestito, senza oneri, l’intero ammontare di quelle proprietà? 
        La questione economica, dunque, difficilmente pare possa considerarsi 
        l’unica causa dell’intera faccenda. D’altra parte, anche 
        nella “Vox in excelso”, il Pontefice dichiara: “...il 
        nostro carissimo figlio in Cristo Filippo...non per febbre di avarizia 
        - non aveva, infatti, alcuna intenzione di rivendicare o di appropriarsi 
        dei beni dei Templari; anzi nel suo regno li trascurò tenendosi 
        del tutto lontano da questo affare - ma acceso dallo zelo per la vera 
        fede sulle orme illustri dei suoi antenati...ci ha fatto pervenire...”.
 Si è menzionato anche il pericolo politico. L’Ordine del 
        Tempio, Stato nello Stato, doveva scomparire perché metteva in 
        pericolo la corona del Capetingio. Senza dubbio, gli ultimi conflitti 
        con la Chiesa collocavano questa preoccupazione - essere l’unico 
        padrone nel proprio regno - tra le idee guida del programma politico di 
        Filippo il Bello; tuttavia, dal momento che i Templari vennero annientati 
        per aver acquisito troppo potere, come spiegare che l’influenza 
        del re si sia esercitata nel Concilio di Vienne, a favore della soluzione 
        che garantiva ad un altro Ordine un potere ancor più vasto? L’offerta 
        dei beni dell’Ordine del Tempio agli Ospedalieri fa cadere anche 
        la facile spiegazione della gelosia politica.
 Probabilmente, la spiegazione più convincente sembra collocarsi 
        nella volontà di Filippo il Bello di dichiararsi difensore dell’ortodossia, 
        facendosi carico in prima persona di quel potere ecclesiale di Papa Clemente 
        V che, di fatto, venne meno in questo caso. In sostanza, la caduta dei 
        Templari fu, a questo proposito, proprio una logica conseguenza della 
        disputa con Bonifacio VIII: si trattò di sapere chi dovesse essere 
        a capo della Chiesa di Francia e quale fosse la linea di demarcazione 
        tra il potere spirituale del re ed il potere temporale del Pontefice. 
        Il re si intromise negli affari del Tempio in virtù della responsabilità 
        che egli rivendicava all’interno del magistero in materia di fede 
        e costumi. Filippo il Bello, in definitiva, si sentiva responsabile anche 
        della salvezza eterna dei suoi sudditi.
 Ecco perché, quando le inchieste giudiziarie promosse mostrarono 
        progressivamente le colpe dei singoli Templari, e non la colpa dell’intero 
        Ordine, Filippo intervenne in maniera decisiva perché comunque 
        le conseguenze negative ricadessero su tutta l’istituzione. Senza 
        dubbio, Clemente V e il Concilio si sarebbero volentieri fermati all’assoluzione 
        dei Templari pentiti, ma il re di Francia non potè permettere che 
        lo scandalo si insabbiasse. Egli aveva deliberatamente aperto la crisi 
        e doveva condurla a termine. Non ci si poteva limitare ad una - tacita 
        o espressa - riprovazione dell’Ordine ed alla riconciliazione di 
        alcuni membri.
 Ecco, allora, nel 1310, l’improvviso processo ai Templari della 
        provincia di Sens, altrimenti detto della regione parigina. I più 
        illustri Templari caddero vittime di una procedura del resto perfettamente 
        regolare, in senso giuridico: mandare al rogo colui che, dopo aver confessato 
        le sue colpe, avesse ritrattato la confessione e, dunque, l’espressione 
        del suo pentimento. E fu questa, nel 1314, la fine tragica dei dignitari 
        Molay e Charnay, condotti al rogo non per aver difeso il Tempio dalle 
        accuse rivoltegli, ma per aver ritrattato all’ultimo momento delle 
        confessioni loro estorte, probabilmente sotto tortura. Non pare, tuttavia, 
        che in tale comportamento del sovrano francese fosse ravvisabile un’attività 
        di inquinamento o di sovvertimento delle prove.
 Dopo la soppressione dell’Ordine del Tempio, il progetto di dotare 
        la cristianità di una forza militare permanente nuova, frutto della 
        fusione tra i vari Ordini cavallereschi, non fu mai più attuato; 
        restò, tuttavia, l’idea di “riordinare” la cavalleria. 
        Ma furono adesso i principi, a partire dalla metà del XIV secolo, 
        che si impegnarono a riformarla in modo da trarne vantaggio personale.
 
 4. L’ “obiectum quaestionis”: il valore della Bolla 
        “Vox in excelso”
 
 Dopo questo indispensabile “excursus” sulla storia dei Templari, 
        delineato nella maniera più sintetica possibile, giungiamo all’esame 
        del tema principale di questo studio.
 E’ noto che attualmente esistono vari ordini o associazioni, autodefinitesi 
        “templari”, che rivendicano, in maniera più o meno 
        esplicita, una diretta derivazione dall’antico Ordine del Tempio. 
        Del resto, si tratta di un fenomeno tutt’altro che nuovo: varie 
        aggregazioni di persone, a partire dal Medioevo, hanno fatto valere, lungo 
        i secoli, una loro presunta “discendenza diretta” dall’antico 
        Ordine Templare.
 Questa pretesa fu, ed è tuttora, fondata, in genere, su un grande 
        falso storico; infatti queste associazioni asseriscono che l’ultimo 
        Gran Maestro dell’antico Ordine - Jacques de Molay, come si è 
        detto - qualche giorno prima della sua morte, avvenuta, come sappiamo, 
        il 18 marzo 1314, avrebbe trasmesso i suoi poteri ad un Cavaliere di sua 
        fiducia, assicurando così la continuità dell’Ordine.
 C’è addirittura qualcuna di queste associazioni che arriva 
        a sostenere che, dopo la soppressione del 1312 e la morte del Gran Maestro 
        nel 1314, in alcune case dell’antico Ordine si sia continuato a 
        ricevere novizi e ad investire nuovi Cavalieri; in taluni casi queste 
        investiture sarebbero avvenute all’interno di una stessa famiglia, 
        per cui il cavalierato sarebbe stato trasmesso di padre in figlio. Tutte 
        queste argomentazioni non paiono, né storicamente, né giuridicamente, 
        fondate, e ciò per vari motivi.
 “In primis”, il Sommo Pontefice, in qualità di “Vicarius 
        Christi” e Capo supremo (visibile) della Chiesa, nonchè come 
        massima autorità da cui il Gran Maestro dell’Ordine Templare, 
        e l’Ordine stesso, dipendevano direttamente, aveva facoltà 
        di estinguere l’Ordine ed una volta che tale soppressione fosse 
        avvenuta, nessuno, se non un altro Pontefice, avrebbe potuto restaurarlo; 
        da ciò ne discende che qualsiasi investitura eventualmente fatta 
        successivamente al 1312 (anno della soppressione dell’Ordine), sarebbe 
        stata illegale.
 Si potrebbe discutere a lungo se la soppressione decretata da Papa Clemente 
        V fosse opportuna e anche moralmente giusta, ma ciò non cambierebbe 
        minimamente i termini della questione giuridica: Clemente V era il Papa, 
        Capo visibile della Chiesa di Cristo, diretto superiore gerarchico del 
        Gran Maestro dell’Ordine, poteva sopprimere l’Ordine, questo 
        era nel suo diritto ed egli si servì di questo diritto sopprimendo, 
        di fatto, l’Ordine - come si è visto - con la celebre Bolla 
        “Vox in excelso” del 22 marzo 1312: “...con amarezza 
        e dolore, non con sentenza giudiziaria, ma con provvedimento od ordinanza 
        apostolica, noi, con il consenso del santo concilio, sopprimiamo con norma 
        irreformabile e perpetua l’ordine dei templari, la sua regola, il 
        suo abito e il suo nome, e lo assoggettiamo a divieto perpetuo, vietando 
        severamente a chiunque di entrare in tale ordine, di riceverne e portarne 
        l’abito e di presentarsi come templare. Se poi qualcuno facesse 
        il contrario, incorra ipso facto nella sentenza di scomunica...”.
 Di fronte a tale testo, qualcuno ha interpretato le parole latine della 
        Bolla “...non per modum definitivae sententiae...” - che significano 
        esattamente, come si è appena visto, “...non con sentenza 
        giudiziaria...” -, traducendole, invece, con l’espressione 
        “...non con sentenza definitiva...”, ossia proponendo la possibilità 
        che - nelle intenzioni del legislatore pontificio - vi fosse di emanare 
        una sentenza meramente provvisoria ed ipotizzando, di conseguenza, la 
        semplice “sospensione” dell’Ordine.
 Tale teoria non pare sostenibile, perché in realtà il Papa 
        esplicitamente asserì, nella “Vox in excelso”, di non 
        sopprimere l’Ordine tramite una sentenza giudiziaria che decidesse, 
        appunto, sulle accuse di eresia, sodomia e apostasia mosse contro i Templari, 
        in quanto le prove raccolte nel processo svolto, nelle varie località, 
        contro di essi non si erano rivelate sufficienti: risultava dimostrata 
        la sola colpevolezza di alcuni membri, ma non dell’intero Ordine. 
        Conseguentemente il Papa non espresse alcun giudizio di condanna o di 
        assoluzione per i capi di imputazione, perché non era in grado 
        di farlo. Dichiarò, infatti, di non sapere se l’Ordine fosse 
        colpevole o meno delle accuse rivoltegli, tuttavia, ritenendo comunque 
        opportuno sopprimerlo - al di là della fondatezza di quelle accuse 
        - ed avendo facoltà di farlo, lo sopprimeva, sebbene non con lo 
        strumento giudiziario (sentenza di condanna) - che, nel caso specifico, 
        non poteva utilizzare -, ma con un provvedimento amministrativo. Nella 
        citata Bolla, si dice, infatti: “Ora, è vero che dai processi 
        svolti l’ordine suddetto non può canonicamente essere dichiarato 
        eretico con sentenza giudiziaria; ma lo stesso, a causa di quelle eresie 
        che gli vengono attribuite, ha conseguito una pessima fama. Moltissimi 
        suoi membri, tra cui il maestro generale, il visitatore di Francia e i 
        priori più in vista, per loro spontanea confessione sono risultati 
        colpevoli di queste eresie, errori e delitti...Si può verosimilmente 
        credere che da ora in poi non si troverà nessuno disposto a entrare 
        in quest’ordine, per cui esso diverrebbe inutile alla chiesa di 
        Dio e al proseguimento dell’impresa della Terra Santa, al cui servizio 
        era stato destinato...”.
 Nella Bolla successiva, emessa nello stesso Concilio, la “Ad providam 
        Christi Vicarii” del 2 maggio 1312, il Papa insiste nel ribadire 
        le suddette argomentazioni: “Con il consenso del santo concilio, 
        abbiamo recentemente soppresso, non senza amarezza e dolore del nostro 
        cuore, l’Ordine della Casa della Milizia del Tempio di Gerusalemme, 
        a causa del suo maestro, dei frati e di altre persone di detto ordine, 
        che, in ogni parte del mondo, si sono macchiati di numerosi e diversi 
        errori e peccati...Ciò non è avvenuto mediante sentenza 
        giudiziaria, perché non possiamo giuridicamente pronunciarla in 
        base alle indagini ed ai processi condotti nei loro confronti, ma mediante 
        un provvedimento od ordinanza apostolica, con valore assoluto e perpetuo...”.
 Ora, ritornando al discorso precedente, è storicamente e giuridicamente 
        falso che il Papa abbia solo inteso “sospendere” l’Ordine 
        con una semplice sentenza “provvisoria”, per la semplice ragione 
        che non venne utilizzato nella procedura alcun tipo di sentenza, ma un 
        mero provvedimento amministrativo (“provvedimento od ordinanza apostolica”). 
        Per quanto concerne il valore da attribuire a tale provvedimento amministrativo, 
        non è dubbio che si trattò di un provvedimento definitivo 
        ed irrevocabile, perché Clemente V proferisce frasi dal significato 
        perentorio ed inequivoco (“...sopprimiamo con norma irreformabile 
        e perpetua l’ordine dei templari...lo assoggettiamo a divieto perpetuo, 
        vietando severamente a chiunque di entrare in tale ordine...Se poi qualcuno 
        facesse il contrario, incorra ipso facto nella sentenza di scomunica...”). 
        Se si fosse trattato solo di una “sospensione” dell’Ordine, 
        perché il Papa avrebbe parlato di “soppressione” (cioè, 
        di estinzione)? Perché avrebbe poi dichiarato che la sua decisione 
        era “irreformabile”? Perché avrebbe vietato a chiunque 
        di entrare a far parte dell’Ordine “in perpetuo”? Perché, 
        infine, avrebbe minacciato di scomunica chi avesse tentato di disobbedire 
        a tali prescrizioni?
 
 5. Osservazioni critiche
 
 E’ possibile che, in seguito alla soppressione decretata da Papa 
        Clemente V, vi siano state delle altre investiture?
 Il 22 marzo 1312 l’Ordine cessò di esistere. Se da qualche 
        parte, in Europa, in qualche Precettoria o in qualche casa templare, successivamente 
        a questa data fossero stati accolti dei novizi e fatti nuovi Cavalieri, 
        ciò sarebbe avvenuto - giuridicamente parlando - in maniera assolutamente 
        illegittima, perché non conforme alla lettera della legge - espressa 
        con la Bolla “Vox in excelso” - che proibiva la continuazione 
        o la ricostituzione dell’Ordine, nonchè illecita, perché 
        non conforme al fine perseguito dalla legge, che voleva la fine irreversibile 
        dell’Ordine. In definitiva, poiché il Tempio non esisteva 
        più, quelle persone non sarebbero state Templari. L’Ordine 
        del Tempio era un Ordine cristiano, al servizio della Chiesa di Roma; 
        era stato riconosciuto come tale dal Papa Onorio II, in seno al Concilio 
        di Troyes, nel 1129, ed aveva acquistato in tal modo la propria esistenza 
        e rilevanza giuridica. L’identità ed il ruolo dell’Ordine 
        avevano un fondamento ed un significato esclusivamente per l’ordinamento 
        e nell’ordinamento della Chiesa. Un altro Papa, Clemente V, duecento 
        anni più tardi, aveva privato quello stesso Ordine della sua esistenza 
        e rilevanza giuridica, provocandone la morte.
 Qualche altro autore, come si è accennato, menziona la leggenda 
        - storicamente inverosimile - per cui la notte prima della sua esecuzione, 
        Jacques de Molay avrebbe inviato suo nipote, il Conte di Beaujeu, nella 
        cripta di Parigi, dove avrebbe recuperato la corona del Regno di Gerusalemme, 
        il candeliere a sette bracci del Tempio di Salomone ed i quattro evangeliari 
        d’oro della Chiesa del Santo Sepolcro. In tal modo avrebbe trasmesso 
        i propri poteri di Gran Maestro ad un altro cavaliere, assicurando così 
        la continuità dell’Ordine. Secondo tale leggenda, il nuovo 
        Gran Maestro, in compagnia degli altri cavalieri superstiti, sarebbe riuscito 
        a fuggire, ponendosi in salvo in Gran Bretagna o in Portogallo, e lì 
        avrebbe ripreso segretamente l’attività dell’Ordine.
 Si tratta, si è detto, di una leggenda priva di alcun fondamento 
        storico, perché la storiografia ufficiale ha sempre ribadito che 
        l’arresto dei Templari di Francia avvenne all’improvviso, 
        senza che niente potesse far supporre una simile aggressione all’Ordine 
        più potente e prestigioso della Cristianità, all’alba 
        del venerdì 13 ottobre 1307, ed anche che avvenne simultaneamente 
        in tutte le sedi dell’Ordine in Francia, senza che i monaci-cavalieri 
        ed il loro Gran Maestro avessero modo di sapere cosa stesse avvenendo 
        ai loro confratelli. Il Papa stesso seppe tutto a cose fatte.
 Ma il problema non è questo. Al di là dell’attendibilità 
        storica della menzionata leggenda, vale la pena precisare altri concetti 
        essenziali, rispondendo alle seguenti domande.
 Avrebbe potuto, sotto il profilo giuridico, il Gran Maestro Jacques de 
        Molay trasmettere i suoi poteri ad un altro cavaliere, per assicurare 
        la continuità dell’Ordine?
 La risposta pare debba essere negativa, se è vero che l’autorità 
        magistrale nell’Ordine non era ereditaria, bensì di natura 
        elettiva, sicchè Molay non avrebbe potuto conferirla o trasmetterla 
        a nessuno (si ricordi l’antico principio del Diritto Romano: “nemo 
        plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet”). I “Retraits”, 
        gli statuti gerarchici redatti probabilmente sotto il Gran Magistero di 
        Bertrand de Blanquefort - e quindi fra il 1156 ed il 1169 -, che regolavano 
        la vita dell’Ordine, stabilivano che il Gran Maestro venisse eletto 
        con una complessa procedura che prendeva le mosse dalla convocazione del 
        Capitolo generale. Sicuramente questo lo sapeva bene Jacques de Molay, 
        che era entrato nell’Ordine nel 1265, che aveva partecipato all’elezione 
        di due Gran Maestri, Guillaume de Beaujeu, nel 1273, e Tibaud Gaudin, 
        nel 1291, e che era infine stato eletto in tal modo nel 1293 o nel 1294.
 Ma anche ammettendo, per assurdo, che Molay abbia - ufficialmente, magari 
        anche redigendo un documento formale - conferito nel 1314 i propri poteri 
        di Gran Maestro ad un altro cavaliere, il valore giuridico di tale atto 
        sarebbe nullo, sia perché l’Ordine era stato soppresso ormai 
        da due anni, sia tenendo presente le modalità previste dal diritto 
        (la Regola ed i “Retraits”) per l’elezione del Gran 
        Maestro.
 Avrebbero potuto, giuridicamente, i Cavalieri Templari trasmettere ai 
        loro figli la dignità cavalleresca?
 Anche in tal caso la risposta non può che essere negativa. L’Ordine, 
        come è noto, era composto da monaci-cavalieri, monaci con la facoltà 
        di impugnare le armi, ma pur sempre monaci, vincolati quindi alla castità. 
        Pur ammettendo che qualcuno di loro possa aver peccato, è certo 
        che, mentre si può trasmettere ai figli il proprio nome, il proprio 
        titolo nobiliare, i propri beni, ecc., non è possibile - in senso 
        teologico e giuridico - trasmettere lo “status” monastico 
        (così come non si può trasmettere quello sacerdotale), che 
        deriva da una vocazione soprannaturale, dalla conseguente adesione personale, 
        e dalla chiamata del superiore legittimo competente. Non bisogna dimenticare, 
        infatti, un dato essenziale, e cioè che l’antico Ordine non 
        conferiva ai suoi membri un semplice titolo cavalleresco-nobiliare, trasmissibile 
        anche ai discendenti, come avveniva ed, in qualche caso, avviene tuttora 
        negli Ordini cavallereschi sorti ad iniziativa di Case Sovrane o della 
        stessa Santa Sede, ma costituiva la persona in un vero e proprio stato 
        di vita, di carattere sia monastico che militare.
 
 6. Conclusione
 
 Concludendo, quegli Ordini cavallereschi attuali che si dicono “Templari”o 
        “Neotemplari” e che - ricollegandosi alla leggenda sopra descritta 
        - rivendicano la discendenza dall’antico Ordine del Tempio, formulano 
        un’affermazione storicamente falsa e giuridicamente illegittima, 
        per tutto quanto fin qui considerato. Senza dubbio è lecito ed 
        ammissibile costituire Ordini “ex novo”, che si ispirino eventualmente 
        al modello, alla regola, o al costume degli antichi Templari, ma bisogna 
        avere l’onestà storica, morale ed intellettuale per fare 
        presente inequivocabilmente che non vi è - né vi potrebbe 
        essere - alcun legame, se non ideale, con l’antico Ordine del Tempio. 
        Nessun Ordine che si autonomini “Templare” può vantare 
        una discendenza diretta dall’antico Ordine del Tempio, fondato nel 
        1119, soppresso nel 1312, morto e sepolto: solo ed esclusivamente il Romano 
        Pontefice, come Capo della Santa Romana Chiesa, avrebbe il potere - ove 
        lo ritenesse opportuno - di decretare la rinascita o la ricostituzione 
        di quest’ultimo.
 
 Prof. Ciro Tammaro
 Studio Teologico Francescano di Nola (NA)
 
 
 
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