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              De Gregorio G., Attività scrittoria a Mistrà nellultima età 
              paleologa: il caso del cod. Mut. gr. 144, in Scrittura e civiltà 
              18 (1944) 243-280, 20 tavv.  Il cod. Mut. gr. 144 della Biblioteca 
              Estense di Modena, vergato a Mistrà da 12 mani diverse e datato, 
              almeno per i ff. 123-130, al luglio 1441, è interessante per vari 
              aspetti: presenta la testimonianza del passaggio a Mistrà di Ciriaco 
              de Pizzicolli di Ancona; contiene opere che testimoniano i 
              gusti e le tendenze letterarie della cerchia legata a Pletone e 
              al suo discepolo Demetrio Raul Kavakis, ispiratore e coordinatore 
              di questa raccolta miscellanea; e infine dal punto di vista paleografico, 
              con la presenza di numerose mani, rappresenta "un vero e proprio 
              laboratorio di scritture", illustrando "la situazione 
              di estrema fluidità e varietà ... nella quale la scrittura greca 
              si trovava" alla vigilia della caduta di Costantinopoli.  
            Pasini 
              C., Antichi cataloghi manoscritti dei codici della Biblioteca Ambrosiana, 
              in Aevum 69 (1995), pp. 665-695, 6 tavv.  Presentazione dei 
              cataloghi manoscritti, dagli inizi allOttocento, della biblioteca 
              fondata in Milano dal cardinale Federico Borromeo e inaugurata l8 
              dicembre 1609.  
            Pasini 
              C., Integrazioni e correzioni al catalogus codicum Graecorum Bibliothecae 
              Ambrosianae di Emidio Martini e Domenico Bassi (= MB). V, in Rivista 
              di Studi bizantini e neoellenici, n.s., 31 (1994), pp. 185-261, 
              16 tavv. f. t.  Sezione conclusiva dello studio apparso in 
              più puntate nella RSBN, contenente la descrizione dei frammenti 
              di codici greci, di epoche diverse e contenuto vario, conservati 
              nella Biblioteca Ambrosiana sotto la segnatura D 137 suss.  
            Perria 
              L.Iacobini A., Il Vangelo di Dionisio. Il codice F. V. 18 
              di Messina, lAthous Stavronikita 43 e la produzione libraria 
              costantinopolitana del primo periodo macedone, in Rivista di Studi 
              bizantini e neoellenici, n.s., 31 (1994), pp. 81-163, 28 tavv. f.t., 
              di cui 8 a colori, 18 disegni.  Lo studio del manoscritto 
              Messan. F. V. 16, appartenuto al Collegio dei Gesuiti in Messina, 
              e del Tetraevangelo Stavronikita 43, è stato condotto sul duplice 
              versante paleografico (Perria) e storico-artistico (Iacobini). Lesame 
              paleografico ha fatto riconoscere in una delle mani che hanno vergato 
              il codice Messinese (in cui gli epigrammi col nome di Dionysios 
              debbono alludere al committente o al dedicatario), il copista del 
              codice vallicelliano di Areta (il che permette di datarlo a cavaliere 
              fra il IX e il X secolo, e di escluderne lorigine italogreca), 
              mentre nel copista del codice Atonita la Perria ha identificato 
              il ben noto Efrem (sec. X), e questo le ha consentito di riprendere 
              in esame il problema della datazione dei codici a lui attribuiti 
              e anche di arricchire il repertorio della sua produzione. Lesame 
              della decorazione dei due manoscritti conferma la provenienza metropolitana 
              del codice messinese e la sua anteriorità rispetto a quello dellAthos. 
             
            DAgostino 
              M., Osservazioni codicologiche, paleografiche e storico-artistiche 
              su alcuni manoscritti del «gruppo Ferrar», in Rudiae 7 (1995), pp. 
              1-22.  Attribuisce a un medesimo copista-miniaturista 6 codici 
              italogreci del Nuovo Testamento appartenenti al cosiddetto Gruppo 
              Ferrar, il Vindob. Theol. gr. 188, lAthen. BN 74, il 
              Crypt. A.a.III, il Crypt. A.b.III, lOxon. Lincoln College 
              gr. 82, il Vat. gr. 1287 (questultimo rappresentato da un 
              solo ternione, ff. 66-71); il nome di tale copista (quale risulta 
              da note contenute nei codici di Vienna e di Atene) fu Leone. LA. 
              propone per tutti i mss la datazione al secolo XI (intorno al terzo 
              decennio), e una probabile origine pugliese. 
            Spadaro 
              M.D., Rapporti fra testo e pinax nello Strategicon di Cecaumeno, 
              in Byzantina Mediolanensia. V Congresso Nazionale di Studi Bizantini 
              (Milano, 19-22 ottobre 1994). Atti a cura di Fabrizio CONCA, Soveria 
              Mannelli-Messina 1996 (Medioevo Romanzo e Orientale. Colloqui, 3), 
              pp. 387-395  LA. discute il problema della mancata corrispondenza 
              fra testo e pinax nel cod. Mosqu. gr. 436 (di cui si discutono la 
              composizione, la datazione e la storia) contenente lo Strategicon, 
              insieme con il problema della pertinenza allo Strategicon del lógos 
              basilikós contenuto nello stesso codice, e finisce per concludere 
              che la situazione attuale del ms mosquense si deve attribuire al 
              fatto che testo e pinax provengono da rami diversi della tradizione 
              manoscritta, e sono stati associati indebitamente; quanto al lógos 
              basilikós, va rispettata la disposizione tràdita, e quindi esso 
              non deve essere inserito allinterno dello Strategicon, ma 
              considerato indipendente da esso.  
            Canart 
              P., Le Vaticanus gr. 1072 (+ Vat. gr. 2296, ff. 1-8): un theotokarion 
              daté de 1301. BollGrott n.s. 47 (1993) (pubbl. 1997) 5-39, 7 tavv. 
               Descrizione esauriente da tutti i punti di vista (paleografico, 
              codicologico, storico, artistico) di una interessante raccolta di 
              inni mariani. C. ne riconosce i fogli iniziali nei ff. 1-8 del Vat. 
              gr. 2296, ne trascrive la sottoscrizione (f. 204v), recante il nome 
              del copista Teodosio e la data del 26 gennaio 6809 a. m. (= 1301 
              a. D.), ne descrive la grafia, osservando che, nonostante i suoi 
              vari aspetti, deve appartenere a una medesima mano, ne ricostruisce 
              la storia, attraverso varie annotazioni, e infine ne presenta dettagliatamente 
              il contenuto. Il manoscritto non è italogreco: laspetto arcaizzante 
              della scrittura ne denuncia comunque lorigine provinciale. 
            Dzurova 
              A., LEvangeliaire cod. Dujcev 272 (olim Kos. 115) du Centre 
              dÉtudes Slavo-Byzantines «Ivan Dujcev». BollGrott n.s. 47 
              (1993) (pubbl. 1997) 41-69, 4 tavv., numerosi disegni nel testo 
               A integrazione dello studio apparso in BollGrott n.s. 44 
              (1990) 185-900, D., riprendendo in esame il cod. Dujcev 272, un 
              Evangeliario in scrittura «tipo Anastasio» databile alla seconda 
              metà del sec. IX, fornisce delucidazioni sulla composizione dei 
              fascicoli, sulla rigatura dei fogli, sulle miniature degli Evangelisti 
              Matteo e Luca e sul loro rapporto con i fascicoli in cui sono inserite. 
            Faraggiana 
              di Sarzana C., Il paterikon Vat. gr. 2592, già di Mezzoiuso, e il 
              suo rapporto testuale con lo Hierosol. S. Sepulchri gr. 113. BollGrott 
              n.s. 47 (1993) (pubbl. 1997) 79-96, 4 tavv.  Il Vat. gr. 2592, 
              un paterikon del secolo XI ineunte, testimone di primaria importanza 
              dei racconti di Anastasio monaco e della raccolta alfabetico-anonima 
              degli Apophthegmata Patrum, nel sec. XVII apparteneva - come F. 
              ha ora scoperto - al monastero basiliano di Mezzoiuso, e passò alla 
              Vaticana fra il 1930 e il 1933 per tramite del bibliotecario criptense 
              p. Nilo Borgia. Vari elementi, come lanalisi del contenuto, 
              la presenza di rapporti con il cod. Hierosol. S. Sepulchri gr. 113 
              (tardo, ma esemplato su un ms. del secolo IX, Athon. Karakallou 
              251) e con la traduzione georgiana degli Apophthegmata, di origine 
              siro-palestinese, fanno ritenere che «il compilatore del nostro 
              manoscritto sia un monaco vissuto in area sinaitico-palestinese 
              o ad essa circonvicina». 
            Re M., 
              Il Barb. gr. 460 e la data della morte del vescovo di Bova Nicodemo. 
              BollGrott n.s. 47 (1993) (pubbl. 1997) 261-269, 8 tavv.  Il 
              cod. Vat. Barb. gr. 460, un meneo di gennaio-aprile vergato in stile 
              di Reggio da due copisti e databile al secondo quarto del secolo 
              XII, dovette appartenere, forse dai primi anni della fondazione, 
              al monastero messinese del S. Salvatore. Nel secolo XIV dovette 
              invece appartenere a qualche centro monastico della diocesi di Bova: 
              ciò è suggerito dalla nota obituaria relativa al vescovo di Bova 
              Nicodemo che si legge nel margine superiore del f. 50r, in corrispondenza 
              del 22 febbraio. Se ne deduce che Nicodemo morì il 22 febbraio nellanno 
              1361 (o 1360, se si deve dar peso allindicazione dellindizione, 
              sfalsata di un anno rispetto allannus mundi). 
            Andrea Luzzi  |