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Un dipinto unico in Sardegna: l'Incontro dei tre vivi e dei tre morti

Se arriviamo a Bosa, vale la pena di salire fino al Castello di Serravalle, dentro la cui cinta muraria si erge la chiesa di Nostra Signora di Sos Regnos Altos all'interno della quale, su tre pareti, è presente un ciclo pittorico, ripartito in scomparti di diverse dimensioni su due registri orizzontali. I soggetti raffigurati sono: l'Adorazione dei Magi, l'Ultima Cena, San Francesco che riceve le stigmate, San Martino che dona il mantello al povero, San Giorgio che sconfigge il drago, San Lorenzo martirizzato sulla graticola, Maria Maddalena penitente nel deserto, San Cristoforo con il bambino sulle spalle, Santa Lucia, l'Arcangelo Michele, la Donna Celeste, cortei di Santi e Sante (nonché Dottori della Chiesa ed Evangelisti), l'Incontro dei tre vivi e dei tre morti. L'identificazione dei personaggi rappresentati è stata agevolata dalla presenza di tituli indicanti i nomi e di attributi consistenti soprattutto negli strumenti di martirio; resta qualche figura d'interpretazione incerta.

In questa sede incentriamo l'attenzione sull'Incontro dei tre vivi e dei tre morti (vedi foto in calce), in quanto si tratta dell'unico esemplare sardo raffigurante questo tema. La leggenda narra che tre giovani nobili tornavano a cavallo dalla caccia col falco quando, in un crocicchio, si imbatterono in tre cadaveri che si avvicinarono minacciosi dicendo loro: "eravamo quali voi siete, sarete quali noi siamo", al che i giovani fuggirono terrorizzati.

L'Incontro (seguito da tematiche analoghe: Danza Macabra, Trionfo della Morte, Abbraccio fra una giovane e la Morte) costituisce l'espressione narrativa ed iconografica delle paure di carattere escatologico che pervasero i primi secoli del secondo millennio. La consapevolezza della caducità della vita, che aveva portato i pagani al carpe diem, a cogliere l'attimo, sfociò ora nella ricerca di una vita degna di ricompensa al momento del Giudizio Universale, anche per il terrore che un trapasso violento, privo dei crismi della confessione e del pentimento, portasse alla dannazione eterna. L'Incontro rappresentava quindi un avvertimento sulla fugacità dell'esistenza e un invito a vivere virtuosamente (per questo era uno dei soggetti preferiti dai predicatori francescani e domenicani); questo monito venne diffuso dagli artisti europei con numerose varianti figurative, molte delle quali noi troviamo nell'affresco bosano.

A sinistra sono rappresentati i tre giovani non a cavallo ma a piedi, tutti con indosso un mantello bordato di vaio e una corona sul capo; l'uomo più a destra reca un falco sulla mano guantata. Va ricordato che nel medioevo la caccia col falcone era un'attività molto elitaria e che questi predatori venivano allevati in Sardegna anche ai fini dell'esportazione (come si ricava da una carta reale del 1370 in cui l'Infante Giovanni d'Aragona dichiara di aver ricevuto dal Governatore di Sardegna 11 falchi). Nel dipinto considerato il numero e l'iconografia dei giovani nobili sono quelli canonici, chiaramente ispirati ai Re Magi; è indicativo il fatto che il numero tre configura l'armonia raggiunta mediante il superamento della rivalità (espressa dal due). In questo affresco i tre giovani non manifestano turbamento: si tratta dello stadio successivo alla prima reazione di terrore, in quanto è subentrato il momento della riflessione, cui funge quasi da didascalia la formula del "sarete ciò che siamo" dipinta fra il gruppo dei giovani e la figura successiva.

Segue San Macario, che indossa una tonaca chiara con scapolare scuro e tiene in mano un bastone a gruccia che ricorda la croce a tau (senza la cima), già simbolo di Iside e quindi dell'eremita egiziano Sant'Antonio abate, di cui Macario fu conterraneo e seguace: tale bastone divenne emblema di anacoreti ed eremiti. Oggi possiamo anche notare che il tau si è esteso a San Francesco (infatti richiama a lui il diffuso ciondolo ligneo): d'altronde lo stesso Santo d'Assisi visse l'esperienza eremitica. L'aggiunta di San Macario in questo contesto è una variante squisitamente italiana: egli, come fungendo da interlocutore fra i vivi e i morti, carica di significato la morale dell'Incontro, invitando a meditare e pentirsi ai fini della salute eterna.

I tre defunti, distesi nelle tombe anziché in piedi, sono rappresentati in progressiva decomposizione: il primo ha il capo incoronato appoggiato su un cuscino in pizzo, il corpo integro ed abbigliato come i tre vivi, il secondo ha la testa ugualmente incoronata ma il cuscino su cui poggia è consumato come il corpo, ormai nudo e divorato da serpi e da un topo (entrambi animali di carattere ctonio, legati al mondo sotterraneo e riconducenti all'aldilà), il terzo è ormai ridotto ad uno scheletro. Il fatto che due dei defunti fossero incoronati sta a ricordare che la morte è democratica: colpisce gli aristocratici come il popolo.

Sullo sfondo si stagliano alcuni vegetali identificati come una pianta avviluppata da edera, corbezzoli e gigli. Che non si tratti di una raffigurazione naturalistica ma di un'allusione simbolica si evince sia dall'assenza di uccellini - generalmente associati alle riproduzioni di alberi e giardini - sia dal fatto che i tre vegetali di cui sopra alludono tutti all'aldilà.

L'Incontro, così come gli altri dipinti del ciclo pittorico bosano, è stato recentemente analizzato in modo esaustivo e preciso da Fernanda Poli nella monografia La chiesa del castello di Bosa, Edes, 1999. La storica dell'arte, oltre a datare il ciclo al 1340-45 e ad attribuirlo a maestranze toscane, ne propone un'innovativa chiave di lettura: gli episodi raffigurati, apparentemente slegati fra loro, andrebbero raccordati da un filo conduttore: la figura di San Francesco. Infatti ogni dipinto sottende una virtù predicata dal Santo di Assisi: castità, carità, umiltà, eroismo contro il Male, coraggio nel martirio, monito per una buona morte. L'importanza dell'elemento francescano si desume fra l'altro anche dal fatto che Gesù calza i sandali francescani sia nell'Adorazione dei Magi sia nell'Ultima Cena, dove tutti i commensali sono scalzi. È probabile che il ciclo pittorico sia stato pianificato da un iconografo francescano ai fini del memento mori, per invitare gli astanti al pentimento e alla penitenza. Per una analisi della fortuna letteraria del tema cfr. in questo stesso sito Luca Rognoni, LA LEGGENDA DEI TRE VIVI E DEI TRE MORTI.

Anna Rita Vizzari

L'incontro dei tre vivi e dei tre morti, Bosa, Castello di Serravalle. Foto di A.R. Vizzari

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