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«Nudi homines cum ferro». Parte II. Mète italiane del pellegrinaggio giudiziale * .

In corso di stampa in Carte di viaggio, viaggi di carta a cura di F. Cardini – © dell'autrice – Distribuito in formato digitale da “Spolia”.

1. La memoria di Malines

Anche se gli studi sull'argomento sono per lo più relativi all'area francese non mancano pellegrinaggi penitenziali italiani secondo quanto ricordato da una memoria del Gran Consiglio di Malines, nelle Fiandre, datata 2 ottobre 1592 [1] . Il documento contiene una lista dei luoghi in cui si era soliti mandare i condannati al pellegrinaggio giudiziale e tra gli altri ve ne sono indicati alcuni italiani: quelli che tra i molti santuari venivano ritenuti più importanti per la penitenza. Oltre al notissimo e antonomastico pellegrinaggio dei Santi Pietro e Paolo di Roma, si annoverano nel documento Santa Maria di Roma, Sant'Ambrogio a Milano, Santo Stefano di Bologna e Nostra Signora di Napoli [2] .

Se è palese la forza del perdono presso la mèta apostolica, richiedono un supplemento di analisi gli altri casi citati dalla memoria di Malines che non solo rivelano un criterio interno d'eccellenza ma sono anche tra le poche testimonianze della presenza di un pellegrinaggio giudiziale in Italia. Il prestigio delle destinazioni è ascrivibile – anche se non sempre distintamente – alla devozione mariana o alle memorie palestinesi, due culti diffusi fin dal XIII secolo dagli ordini mendicanti che collocarono la religione nella «sfera dei sentimenti» [3] . La venerazione dell'umanità di Cristo e quella di sua madre Maria furono all'origine delle nuove forme assunte dalla devozione cristiana nel rinnovamento della sensibilità religiosa tardomedievale. Il culto mariano era fortemente intrecciato alla vicenda della redenzione degli uomini e al riscatto dei peccatori: già nella prima metà dell'XI secolo Odilone di Cluny aveva proclamato la Vergine Maria causa prima della salvezza degli uomini, ovviamente dopo Dio [4] .

 

2. Il perdono degli apostoli

Sul pellegrinaggio alle basiliche dei Santi Pietro e Paolo non c'è molto da aggiungere essendo palese il potere assolutorio derivato dalla presenza dei corpi degli apostoli e in particolare di Pietro quale depositario dell'autorità suprema per investitura evangelica [5] . Le sedi apostoliche hanno da sempre rivestito un'autorità indiscussa seconda solo a quella dei luoghi segnati dalla presenza storica di Dio. Il luogo, assieme alla reliquia, non solo traduce la memoria in realtà storico-escatologica ma media la concreta presenza dell'essenza divina che ha occupato quei “resti di umanità” dotandoli di un potere intrinseco. Su tale potere, da cui dipende l'efficacia del perdono, si concentra il memoriale fiammingo che non indica tanto il santuario del culto quanto piuttosto il culto stesso sulla base dell'autorità del personaggio o della reliquia che ne è oggetto. Si potrebbe parlare con Jean Chélini di un'«onnipotenza delle reliquie» che fin dalle origini trovò il suo centro di propagazione proprio nella città degli apostoli [6] . Accanto a questa l'altra polarità del sistema di diffusione di sacra pignora fu la Terrasanta anche se per un'ampia circolazione in Occidente di reliquie palestinesi bisognò attendere l'età delle crociate con l'incremento del traffico di uomini e merci che ne fu conseguenza.

 

3. Santa Maria e le "sette chiese" di Roma

 

Santa Maria di Roma, da individuare con Santa Maria Maggiore, è il primo Santuario mariano dell'Occidente, fondato poco dopo il Concilio di Efeso del 431. Prima basilica di fondazione papale sotto Sisto III, fu edificata secondo la tradizione nel luogo che la Madonna avrebbe indicato a papa Liberio e dal nome di questi fu anche detta basilica Liberiana [7] . In Santa Maria Maggiore si celebrava la festa della purificazione che consisteva in una processione per il giorno della Candelora [8] già raffigurata in un mosaico della basilica datato al V secolo. Pietro il Venerabile ne spiegherà l'appellativo dicendo che dopo la chiesa del Salvatore al Laterano, supera in dignità tutte la chiese non solo di Roma ma dell'universo [9] . Santa Maria Maggiore fondava la propria attrattiva sulla presenza della reliquia della culla di Betlemme dopo che sotto Teodoro I, nativo di Gerusalemme ed eletto al pontificato nel 642, furono traslati in questa basilica i legni che formavano la mangiatoia del presepe, nonché alcune fasce e del fieno che erano stati a contatto col corpo del divino figlio [10] . Così l'anonimo redattore di una Translatio Corporis Sancti Hieronymi parla della reliquia dandone per appurata la presenza al momento della collocazione dei resti del dottore della chiesa: «Beatus Hieronymus Doctor egregius locum magnificum in praelibata apud Basilicam perpetuae Virginis Mariae, quae ponitur ad Praesepe, meruit obtinere» [11] .

Santa Maria Maggiore faceva parte del circuito di pellegrinaggio detto delle “sette chiese” che aveva avuto una ripresa nella seconda metà del XVI secolo sotto l'impulso di san Filippo Neri, il quale peraltro aveva messo a punto la modalità di visita [12] . Oltre a San Pietro e alle altre tre basiliche maggiori – San Paolo Fuori le mura, San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore – facevano parte del circuito Santa Croce di Gerusalemme, San Sebastiano e San Lorenzo fuori le mura [13] . Le prime testimonianze concernenti le visite datano al XIV secolo: al 1360 risale un itinerario per pellegrini, che chiama le sette basiliche “chiese regali”, poiché papi e imperatori le avevano fondate e arricchite di tesori; un altro itinerario fiammingo, precedente al 1369, elenca le indulgenze che vi si potevano acquistare [14] . Partendo da San Pietro, i pellegrini si recavano nell'ordine a San Paolo, San Sebastiano, San Giovanni, Santa Croce, San Lorenzo e infine Santa Maria Maggiore. Ogni tratto rappresentava uno dei sette viaggi di Cristo durante la Passione: dal cenacolo al Getsemani; dall'orto alla casa di Anna; da questa alla casa di Caifa; da lì al palazzo di Pilato; dal palazzo di Pilato a quello di Erode; di nuovo da Erode a Pilato; e infine dal palazzo di Pilato al Calvario. In ognuna delle sette basiliche si veneravano poi sette altari privilegiati, dotati di speciali indulgenze [15] .

 

4. Sant'Ambrogio e la penitenza dell'imperatore

Per quanto riguarda il riferimento a Sant'Ambrogio di Milano, la figura del metropolita non è scevra dal rapporto con le reliquie gerosolimitane di cui fu inventore e divulgatore [16] . Ma la basilica è ricordata più probabilmente perché antichissimo luogo di penitenza pubblica [17] . Il motivo di tale prestigio sta proprio nel fatto che Ambrogio impose una penitenza pubblica nientemeno che all'imperatore Teodosio, l'ultimo reggente dell'impero ancora unito.

Nel De obitu Teodosii Ambrogio racconta: «Stravit omne, quo utebatur insigne regium, deflevit in Ecclesia publice peccatum suum, quod ei aliorum fraude obpreserat: gemitu et lacrimys oravit veniam» [18] . Mentre Agostino ricorda: «ecclesiastica cohercitus disciplina sic egit paenitentiam, ut imperatoriam celsitudinem pro illo populus orans magis fleret videndo prostratam, quam peccando timeret iratam» [19] . Infine Teodoreto di Ciro, vescovo e storico bizantino del V secolo:

«Hac aucdita lacrymabili calamitate [20] , Ambrosius ille, imperatori, quem sape memoravi, cum Mediolanum venisset, atque in sacrum templum de more ingredi vellet, obviam procedens extra vestibulum, sacris illum liminibus pedem inferre tali oratione vetuit: “Ignorare videris, o imperator, patratae a te caedis quanta sit magnitudo, neque adhuc post sedatam iram admissum facinus rati pervidit. Non sinit enim fortasse imperatoria potestas peccatum cognoscere, rationique tenebras offundit principatus. (...) Natura coniunctis princeps imperas, atque adeo conservis. Unus enim omnium Rex et Dominus, Conditor universorum. Quibus igitur oculis communis Domini templum aspicies? Quibus pedibus sacrum illud solum calcabis? Quomodo manus ectendes iniustitiae caedis sanguine sanguine adhuc stillante? quomodo huiusmodi manibus sacrosanctum Domini corpus accipies? Quomodo pretioso ori sanguinem admovebis, qui furore actus tantum sanguinis nefarie profudisti? Recede igitur, et cave prius crimen altero crimine augere coneris, sed vinculum admitte, quo te ligari Deus omnium Dominum sursum probat. Medicinam id faciet, sanitatemque restituet»[21] .

Teodosio penitente per imposizione di un vescovo fece scalpore in tutto l'ecumene romano: fu la prima volta che l'imperatore, da capo religioso qual era, da rappresentante di Cristo in terra, scese al livello di semplice fedele, pronto a umiliarsi per ricevere il perdono. Non va trascurato però un dettaglio: fin dal giubileo del 1400 i papi accordarono sia a nazioni che a città particolari la possibilità di lucrare l'indulgenza giubilare visitando le proprie chiese [22] . A quest'altezza cronologica la pratica della visita alle sette chiese era stata dunque adottata anche fuori di Roma. Gregorio XIII infatti, su preghiera di san Carlo Borromeo arcivescovo di Milano, contemporaneo di san Filippo, estese anche alle sette principali chiese della città lombarda le stesse indulgenze delle basiliche romane [23] .

 

5. La “Gerusalemme” bolognese di Santo Stefano

Il complesso di Santo Stefano di Bologna rispecchia la Hierusalem Bononiensis voluta dal vescovo Petronio fin dalla sua fondazione e ciò la rende indubbiamente una mèta dal forte richiamo simbolico. Ma oltre al fatto di essere immagine tangibile della Gerusalemme di Terrasanta la suggestione del complesso è alimentata dalla potenza del tesoro di reliquie che vi si conserva. Il protomartire Stefano lapidato per l'accusa di blasfemia, colui che, usando indulgenza verso i propri persecutori, era arrivato a chiederne il perdono presso Dio aveva lasciato una memoria attiva attraverso i resti che ne mantenevano vivo l'esempio e il potere. La reliquia infatti non è solo oggetto passivo di culto bensì agente di redenzione in quanto strumento che permettere di resistere al male e ottenere la salvezza per intercessione del santo. La basilica stefaniana conserva frammenti ossei e alcuni sassi della lapidazione che la tradizione vuole intrisi del sangue del protomartire. Del resto il sangue è una reliquia di per sé potentissima per il forte richiamo eucaristico poiché il santo è prima di tutto un imitatore di Cristo. Nella Vita Sancti Petroni il vescovo non solo è indicato come fondatore del complesso stefaniano ma gli si attribuisce la volontà di riprodurre i luoghi di culto gerosolimitani e in particolare il sepolcro del Cristo [24] . I senatori di Bologna erano soliti recarsi all'altare dei Magi nel giorno dell'Epifania e nelle mattina di Pasqua per «prendere la perdonanza» [25] . La consacrazione definitiva è ricordata da una cronaca bolognese tardo cinquecentesca che riferisce come la visita alla chiesa del Santo Sepolcro, in origine intitolata alla Santa Croce, per concessione di Celestino I conferisse l'indulgenza plenaria a chi la visitava il venerdì santo e le feste di Pasqua [26] . Non sarà casuale se tre pellegrinaggi citati nello stesso documento, e tutti a proposito del pellegrinaggio giudiziale, fanno riferimento a un circuito di sette edifici. Anche il complesso stefaniano delle Sette Chiese rispecchia la volontà di una traslazione simbolica della Hierusalem storica ed escatologica mediante la ricostruzione dei luoghi topici della passione a costituire le tappe di un itinerario che riscatterà gli uomini dalla colpa.

Ma la simbologia del numero è multiforme: nel libro dell'Apocalisse San Giovanni si rivolge alle sette chiese dell'Asia, raffigurando in esse l'unità della Chiesa universale che Dio riempie della grazia dei sette doni dello Spirito [27] .

Tutti i dati raccolti portano a ritenere che la memoria di Malines possa interpretare il clima religioso della propria epoca richiamando i penitenti all'unità della Chiesa, una Chiesa che compattava le proprie fila nel segno del Concilio Tridentino. In effetti, nel 1570 a Malines si era tenuto un concilio provinciale in cui si erano accettati i decreti tridentini. L'antica devozione popolare delle sette chiese veniva ora rilanciata per rafforzare quell'idea di unità della Chiesa universale messa in discussione dalle fratture della Riforma.

 

6. Nostra Signora di Napoli e le “madonne sorelle”

Sarebbe suggestivo e immediato identificare la Nostra Signora di Napoli citata dal documento fiammingo con la Chiesa di Santa Maria della Catena, nel Borgo Santa Lucia, ma alcune ragioni ostacolano l'ipotesi. Il santuario della Catena fu fondato nel 1576, un quindicennio prima della memoria di Malines e non risulta che il suo culto fosse divenuto di tale importanza da permettere alla sua fama di oltrepassare le Alpi. L'intitolazione poi non fa riferimento a un culto autoctono ma piuttosto all'origine origine siciliana della fondazione [28] . Altre e più famose dovrebbero essere le chiese citate se la memoria di Malines volesse riferirsi al culto della Madonna della Catena.

Il dubbio permane tra le molte madonne di cui è ricca la tradizione napoletana le cui iconografie, devozioni e prerogative taumaturgiche sfumano l'una nell'altra. Limitando il campo alla sola città di Napoli, la Madonna del Carmine e la Madonna di Piedigrotta sono indubbiamente le icone i cui culti risultano essere i più antichi e radicati. La chiave interpretativa più opportuna non sarà però quella dell'identificazione del santuario specifico, quanto piuttosto l'idea della presenza di un intreccio di culti e di una relazione di parentela tra le varie madonne attestata dall'appellativo di “sorelle” attribuito dalla devozione popolare [29] . Sorelle sono le immagini del Carmine, di Piedigrotta, dell'Annunziata, delle Galline a Pagani, dell'Arco, della Pace a Giuliano e di Montevergine, le prime tre venerate a Napoli le altre nei santuari della provincia [30] .

La madonna di Montevergine, mèta di uno dei più antichi pellegrinaggi della Campania, è legata alla figura di Guglielmo da Vercelli fin dagli inizi del XII secolo quando il santo scelse questi luoghi per la sua comunità eremitica. La tradizione vuole che la chiesa abbia avuto origine dall'apparizione di Cristo che ordinò all'eremita di costruirla e consacrarla alla Madonna. Il pellegrinaggio è attestato già in un documento del 1139 [31] . L'immagine è circondata da una leggenda che la vuole dipinta da San Luca, anche se gli studi storici e artistici hanno dimostrato trattarsi di un'icona donata al santuario da Carlo II e da Maria d'Ungheria nel XIII secolo. Fu dopo il Concilio Tridentino, in pieno clima controriformistico, che si consolidò la tesi della matrice lucana dell'opera [32] . Ciò che colpisce è che anche l'altra madonna citata dal documento di Malines, Santa Maria Maggiore, la più antica icona mariana di Roma, è attribuita dalla tradizione alla mano di San Luca [33] . L'impostazione delle immagini, con alcune varianti, è riconducibile alla tipologia della Vergine Odigitria, con Madre e Bambino in posizione frontale su un trono regale. Tra le immagini mariane di Napoli e immediato circondario una particolare venerazione è tributata alle Madonne nere come appunto la Mamma Schiavona di Montevergine e Santa Maria la Bruna del Carmine. Proprio la Madonna del Carmine è ritenuta la più antica immagine mariana dell'ordine del Carmelo presente in Europa. Con Costantinopoli ormai sotto la pressione dei Turchi e le posizioni iconoclastiche di Leone Isaurico, l'VIII secolo vide numerosi profughi dirigersi verso le regioni più meridionali d'Italia (soprattutto Sicilia, Calabria, Puglia) portando con se le proprie devozioni e dando luogo alla tradizione della provenienza orientale delle immagini dell'Odigitria. Il monte Carmelo, che si estende dal golfo di Haifa fino alla pianura di Esdrelon, fu antico luogo di eremitaggio finché nella seconda metà del sec. XII, giunsero alcuni pellegrini occidentali, probabilmente al seguito delle crociate. Proseguendo il secolare culto mariano esistente, si unirono in un ordine religioso fondato in onore della Vergine alla quale si professavano particolarmente devoti. Il culto a questa ipostasi della Vergine è attestato in molti luoghi d'Italia, dove si ritrovano anche diversi modelli iconografici, tra cui si deve considerare anche l'immagine dell'edicola di Santa Maria dell'Idria nella cripta del santuario di Piedigrotta. Almeno tre santuari sono candidati a identificare la Nostra Signora del documento di Malines, sia per la diffusione del culto che per l'autorità delle immagini venerate: il Carmine, Piedigrotta e Montevergine.

 

7. Qualche considerazione

Ciò che appare chiaro dal documento fiammingo è che, tra i molti luoghi di culto italiani, tutti quelli indicati fanno parte di un circuito di visite. Le tre ricordate basiliche di Roma sono le principali mète della visita alle sette chiese; Santo Stefano di Bologna fa parte di un sistema di sette chiese che riproduce i luoghi della passione in Gerusalemme; Sant'Ambrogio di Milano, a quest'altezza cronologica, è già parte del sistema di visite delle sette chiese importato da san Carlo Borromeo su modello di Roma; Nostra signora di Napoli, qualunque essa sia, rientra nel sistema della “madonne sorelle”. La particolare attitudine mariana e l'attenzione per l'umanità di Cristo rivelata nella passione pongono il documento di Malines nella corrente della mutata sensibilità moderna che, mediante la dislocazione della Hierusalem orientalis in terra d'Occidente, rinnova il modello del pellegrinaggio con l'istituzione e la diffusione dei Sacri Monti in tutta Europa.

Ilaria Sabbatini

 

* Per la definizione del contesto storico religioso si rimanda alla prima parte del presente contributo.

[1] Il documento, firmato J. Bogaert, Schetz De Grobbendoncq et Peckius, afferma di riprodurre alcuni articoli estratti delle sentenze dei consoli trascritti da J. Paeldine nel 1509. Si veda V. Den Busche. Roc-Amadour. Les pèlerinages dans notre ancien droit pénal , in «Bulletins de la commission royale d'histoire», 4 e série, tome XIV, pp. 25-26.

[2] Office fiscal près le grand conseil. Correspondance enliassè. Sub Grysperre et Hartius. 1576-1622. Ivi.

[3] F. Rapp, Cambiamenti e difficoltà del pellegrinaggio alla fine del medioevo (XIV-XV secolo) in Le vie di Dio. I pellegrinaggi nel mondo moderno dalla fine del medioevo ai nostri giorni , a cura di J. Chélini et H. Branthomme, Milano 2006 (Paris 1982), pp. 14-15.

[4] R. Oursel, Vie di pellegrinaggio e santuari, Milano 1998, p. 96.

[5] Gv. 20, 21-23; Mt. 16, 18-19. Si rimanda in proposito al paragrafo 5 della prima parte del presente contributo.

[6] J. Chélini, I pellegrinaggi nell'alto medioevo occidentale (VIII-X secolo) in Le vie di Dio. Storia dei pellegrinaggi cristiani dalle origini al medioevo, a cura di J. Chélini et H. Branthomme, Milano 2004 (Paris 1982), pp. 92-93.

[7] La basilica di Santa Maria Maggiore in I luoghi giubilari a Roma. Storia, spiritualità, arte , a cura di A. Lonardo, Cinisello Balsamo 2000, p. 51.

[8] Festa della presentazione di Gesù al tempio detta anche “della purificazione di Maria”, perché cade appunto 40 giorni dopo il parto.

[9] R. Oursel, Vie di pellegrinaggio e santuari cit., pp. 97-98.

[10] Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica , vol. XII, a cura di G. Moroni, Venezia 1841, p. 110.

[11] PL XXII, coll. 237-240.

[12] Si veda A. Venturoli , Visita alle sette chiese. La liturgia di San Filippo Neri , Roma 2006.

[13] R. Sauzet, Contestazione e rinnovamento del pellegrinaggio all'inizio dei tempi moderni (XVI e inizio del XVII secolo) in Le vie di Dio. I pellegrinaggi nel mondo moderno cit., pp. 34.

[14] S. De Blaauw , Cultus et decor. Liturgia e architettura nella Roma tardoantica e medievale. Basilica Salvatoris, Sanctae Mariae, Sancti Petri , Città del Vaticano 1994, p. 48.

[15] Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica , vol. LXIV cit., pp. 293-294.

[16] Ci si riferisce qui al sacro chiodo della crocifissione. Si ricordi inoltre il ruolo rivestito dl presule milanese nella diffusione della leggenda dell'invenzione delle reliquie della passione da parte dell'imperatrice Elena con il De obitu Theodosii .

[18] Ambrosius Mediolanensis, De obitu Teodosii oratio 34 in PL XVI, col. 1396 C.

[19] Augustinus Hipponensis, De civitate Dei V, 36 in PL XLI, col. 0173.

[20] Teodoreto si riferisce alla strage di Tessalonica di cui ha parlato poco prima. Si veda nota seguente.

[21] Theodoretus Cyrensis, Historia ecclesiastica V, 17 in PG LXXXII, col. 1231

[22] T. Verdon, I giubilei e l'arte in Pellegrinaggio, monachesimo arte , a cura di T. Verdon, Firenze 2000, p. 209.

[23] Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica , vol. LXIV cit., p. 291.

[24] Agnello Ravennate, Vita Sancti Petronii Episcopi et Confessoris in A. Testi Rasponi, Note marginali al “Liber Pontificalis” di Agnello Ravennate , Bologna 1912, pp. 42-49.

[25] B. Borghi, Uno scrigno e i suoi segreti. La storia delle reliquie della “Gerusalemme celeste” in Bologna in Vie e mete dei pellegrini nel Medioevo Euromediterraneo , a cura di B. Borghi, Bologna 2007, p. 61.

[26] Si veda Francesco Patricelli, Cronica della misteriosa chiesa ed badia di Santo Stefano di Bologna, in Bologna per Pellegrino Bonardo , 1584.

[27] Apoc. 1, 4.

[28] La tradizione vuole che nel 1390 a Palermo tre condannati innocenti, videro rimandato il giorno dell'esecuzione a causa di una pioggia battente. Le catene, con cui erano imprigionati nella Chiesa di Santa Maria del Porto, furono spezzate da un intervento della Vergine, ragion per cui la chiesa assunse la nuova intitolazione della Catena.

[29] M. P. Carroll, Madonnas that maim. Popular Catholicism in Italy since the Fifteenth Century , Baltimore-London 1992, p. 65.

[30] C. Canzanella, La madonna di Piedigrotta. Il culto, il mito, la storia , Napoli 1999, p. 70.

[31] P. M. Tropeano, Montevergine nella storia e nell'arte, 1266-1381 , Montevergine 1978, p. 188.

[32] G. Ranisio, Madonne orientali e culti campani in «Santità e tradizione. Itinerari antropologico-religiosi in Campania», a cura di L. M. Lombardi Satriani, Roma 2000, p. 85.

[33] Ibidem, p. 76.

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