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Fedi a confronto. Ebrei, Cristiani e Musulmani fra X e XIII secolo. Atti del Convegno di Studi (San Vivaldo – Montaione, 22-24 settembre 2004), a cura di Sergio Gensini, Comune di Montaione – Edizioni Polistampa, Firenze, 2006, pp. XVIII+309, RECENSIONE di Elena Necchi

Se il tema principale della pubblicazione sono i rapporti intercorsi in epoca crociata fra le tre grandi religioni del ceppo abramitico, in effetti le relazioni raccolte affrontano un’ampia gamma di aspetti utili ad ampliare l’orizzonte specifico di partenza.
Fra XI e XIII secolo si assistette a un progressivo deterioramento dei rapporti fra le fedi cristiana, ebraica e islamica (ANDRÉ VAUCHEZ, I Cristiani d’Occidente di fronte agli Ebrei e ai Musulmani all’epoca delle Crociate, pp. 3-21). Prima delle crociate i contatti fra Cristiani ed Ebrei erano stati ambigui e non erano mancati esempi positivi di collaborazione sotto il profilo economico e culturale, ma con l’affacciarsi della minaccia araba e il diffondersi dei movimenti eretici iniziò una vera e propria azione persecutoria, alimentata da accuse e pregiudizi. Tale recrudescenza, particolarmente evidente sotto il pontificato di Innocenzo III (1198 – 1216), è stata interpretata da storici di varie impostazioni come tentativo di attuare, sia sotto il profilo politico che in ambito religioso, una reductio ad unum tale da soffocare ogni minoranza all’interno dell’Occidente cristiano. In merito ai rapporti fra Cristiani e Musulmani, la predicazione della prima Crociata nel 1095 non rappresentò una novità assoluta, ma si pose in linea con una tradizione di reciproca diffidenza basata sull’ignoranza e sul pregiudizio. In seguito alla commistione fra i poteri temporale e spirituale scaturito dalla riforma gregoriana, l’Occidente cristiano si era appropriato della nozione di "guerra santa" avversa alla Cristianità orientale, e lo scoppio delle ostilità fornì ai Musulmani il pretesto per infierire contro i sudditi cristiani appartenenti alle Chiese sopravvissute alla conquista araba del VII secolo, così come i musulmani di Terra Santa e Spagna vennero costretti alle conversioni forzate o all’emigrazione. Il secolare propagarsi delle ostilità non impedì tuttavia sviluppi fecondi. Infatti, l’acquisizione da parte dell’Occidente della scienza araba, in modo particolare dopo la presa di Toledo del 1085, e le missioni francescane a partire dal XIII secolo approfondirono la curiosità degli occidentali nei confronti del mondo musulmano allo scopo di conoscerlo meglio, consentendo in parte di fugare secolari pregiudizi.
In tale panorama non mancarono esempi di coesistenza pacifica (JOSEPH LEVI, Rapporti tra mondo ebraico, musulmano e cristiano: la Ghenizà del Cairo, pp. 23-34). I documenti della Ghenizà (fondo nascosto) del Cairo testimoniano più di duecento anni di vita ebraica dal 1025 al 1266. L’archivio, scoperto nel 1864 durante i lavori di scavo presso l’antica sinagoga, conta non meno di 250.000 pagine, ora custodite in varie biblioteche d’Europa e degli Stati Uniti. Le testimonianze contenute in questa vasta raccolta ci permettono di conoscere aspetti importanti della vita nel Mediterraneo orientale sotto il dominio della dinastia dei Fatimidi nei secoli delle Crociate, fino all’arrivo dei Mamelucchi di Saladino e alla distruzione del regno crociato. Veniamo così a scoprire una società socialmente e religiosamente flessibile, dove la tolleranza e la convivenza interetnica dipendevano soprattutto da un potere stabile e illuminato in grado di garantire un’armonica coesistenza fra le diverse confessioni.
Le crociate, per quanto apparentemente incompatibili con il dialogo fra uomini di guerra, misero in discussione radicati luoghi comuni mediati generalmente dalla letteratura polemica ecclesiastica (GIUSEPPE LIGATO, Islam e Cristianità: culture cavalleresche a confronto, pp. 36-77). Fonti storiche e narrazioni epiche testimoniano infatti contatti incruenti fra le due cavallerie cristiana e musulmana allo scopo di saggiarne la reciproca permeabilità grazie alla condivisione di tecniche di combattimento e di valori morali comuni. Certo non è possibile teorizzare un sistema coerente di scambi. Tuttavia le due parti talvolta intuirono che l’una era degna dell’altra, non solo tecnicamente, ma anche, accantonato provvisoriamente il tradizionale odio religioso, moralmente. Benché lo sforzo teso alla comprensione reciproca non abbia prodotto risultati eclatanti, possiamo giungere alla conclusione che sicuramente non mancarono una certa curiosità intellettuale, nonché la consapevolezza di aderire a principi etici accettabili da entrambe le parti in lotta. Tutto sommato, fu proprio la mentalità cavalleresca a mitigare, almeno qualche volta, la disumanità della guerra.
In epoca crociata vennero realizzate imprese architettoniche a scopo devozionale, come il gruppo di chiese rupestri edificate sull’acrocoro etiope a Lalibela fra il 1170 e la seconda metà del secolo successivo, nella fase di massimo consolidamento della dinastia Zagwe (RENATA SALVARANI, Una imitatio dei luoghi santi del XIII secolo nel cuore dell’altopiano etiopico: Lalibela, pp. 79-103). L’operazione, uno degli esempi di imitazione degli ipsissima loca allora così diffusi tanto in Occidente che in Oriente, testimonia la volontà di affermazione della corona, animata dagli stimoli provenienti dai fitti contatti con Gerusalemme in virtù dei numerosi viaggi di mercanti e pellegrini lungo la via del Mar Rosso. La parte settentrionale della città – santuario, dove per prima si manifestò la volontà topomimetica rispetto ai loca gerosolimitani officiati da cristiani di rito etiope, è una sorta di specchio deformante del modello di partenza, tuttavia l’alterazione delle distanze e delle dimensioni non inficia la corrispondenza fra la topologia devozionale del simulacrum.
Fra XII e XIII secolo la riflessione sul significato della Crociata divenne frequente. Se Clermont e le elaborazioni di Anselmo d’Aosta e Bernardo di Clairvaux avevano consolidato il razionalismo e l’iniziativa cristostorica in direzione laica, affermati soprattutto nell’elaborazione del concetto di militia Christi, nel secolo successivo tali assunti sembrarono entrare in crisi per una sorta di ripiegamento su se stessi. Spettò a Francesco d’Assisi e a Raimondo Lullo un loro rilancio in una forma del tutto nuova (FRANCESCO SANTI, La diffusione del cristianesimo disarmato nell’Islàm tra Francesco e Raimondo Lullo, pp. 115-35). Per entrambi l’Islàm non era più soltanto un terreno di scontro, ma il luogo di una fede fortissima , e il suo punto di errore risiedeva nell’accettare unicamente la grandezza umana di Cristo. Sia Francesco che Raimondo accettarono in pieno la missione storica di convertire l’Islàm, ma compresero che tale operazione non si sarebbe risolta solamente con un’aggiunta di mondo al mondo europeo, bensì con l’invenzione di una cristianità completamente diversa.
Raimondo Lullo ebbe modo di confrontarsi con l’Islam in due momenti diversi. Un primo approccio avvenne nella nativa Maiorca, dove i musulmani erano relegati al rango di sottomessi rispetto alla religione dominante. A tali frequentazioni islamiche, veicolo di conoscenza delle credenze popolari e del folklore arabo, si ispira il Libre del Gentil e dels tres savis (ALFREDO COCCI, Lo schiavo moro della “Vita” di Raimondo Lullo ed il savio saraceno del “Libre del Gentil e dels tres savis”, pp. 137-58): tre saggi, rispettivamente un cristiano, un ebreo e un musulmano, cercano di convertire Gentile facendo ricorso ai dettami della razionalità. Se lo stile potrebbe suggerire un’idea di spassionato dialogo interreligioso, in realtà i tempi erano troppo precoci in tal senso, e la disputa, pur irrisolta in apparenza, lascia intravedere una prevalenza della fede cristiana.
Gli antichi e presenti conflitti territoriali per il possesso di Gerusalemme trovano una spiegazione nel carattere sacro attribuitole dalle varie religioni. Presso i musulmani la città ha sempre esercito un ruolo di memoria sacra collettiva, come tappa intermedia del viaggio di Maometto dalla Mecca al Paradiso e come prima qibla dell’Islàm (KHALED FOUAD ALLAM, Gerusalemme nei testi arabi, pp. 159-63). Lo si evince da cronache di epoca crociata, come pure da composizioni poetiche anche di autori contemporanei. Gerusalemme è vista come una sorta di confine fra puro e impuro, e la presenza straniera si connota come uno sconfinamento nella sacralità, onde scaturiscono le lotte per la spartizione di spazi considerati sacri dai contendenti.
Comunque, nella coscienza delle parti in lotta lo scontro non assunse i caratteri eclatanti attribuitigli dalla storiografia recente (PAOLO BRANCA, Le crociate viste dagli Arabi, pp. 165- 76). Le fonti arabe coeve non usano il termine "crociata", che si diffonderà a partire dal XIX secolo per influsso di stereotipi storiografici occidentali, piuttosto presentano i conflitti come un fatto meno rilevante rispetto alle interpretazioni più recenti: addirittura< nel primo trentennio di penetrazione occidentale non mancano casi di convivenza pacifica.
In epoca crociata si segnalano inoltre tentativi di dialogo tra le fedi anche su iniziativa di qualche pontefice. Ne è un esempio l’Instructio fidei, la lettera – trattato composta nel 1179 da Pietro di Blois per conto di Alessandro III e indirizzata al sultano di Iconio Kiliji Arslan II (MIRIAM RITA TESSERA, Alessandro III e l’enigma della Instructio fidei al sultano di Iconio, pp. 177 – 91). Nell’epistola il papa espone al sultano la sostanza della fede cattolica e conclude con l’esortazione al battesimo. Non sappiamo se la lettera sia mai giunta a destinazione. Comunque il testo, testimonianza della volontà del papa di appoggiare la presenza araba in funzione antibizantina, comprova la propensione al dialogo religioso in una fase storica non certo tranquilla.
Alcune città occidentali divennero dei punti nodali nel passaggio di uomini e armi da Occidente a Oriente. È il caso di Brindisi (ROSANNA ALAGGIO, "Finis est Europae contra Meridiem". Immagini da una frontiera dell’Occidente medievale, pp. 194 – 229), la quale, vista la relativa vicinanza con la sponda opposta dell’Adriatico, sotto la dinastia normanna assurse al ruolo di estrema frontiera occidentale rispetto a un Oriente reale o immaginato, raggiungibile attraverso la strada che, varcato il mare, portava a Costantinopoli. In tale ottica vanno interpretate le opere edilizie intraprese da Federico II a favore del porto pugliese. Il legame con il mondo orientale è richiamato anche dagli elementi decorativi di alcune chiese di Brindisi e di altri centri portuali del Salento. Molto spesso vengono riprodotti episodi tratti dalle narrazioni delle gesta dei paladini di Carlo Magno, dai quali i Normanni vantavano la discendenza.
La curiosità nei confronti dell’Oriente, dei suoi costumi e delle sue pratiche religiose è evidente in alcune opere composte alla vigilia della quinta crociata bandita da papa Innocenzo III, la quale portò alla conquista della città di Damietta, suggellando lo spostamento degli interessi occidentali verso l’Egitto. Si tratta della Historia Hierosolimitana abbreviata, composta presumibilmente tra il 1219 e il 1221 (BARBARA BOMBI, Innocenzo III e la relazione sulle condizioni del Medio Oriente coevo, pp. 231-42). Manca allo stato attuale un’edizione critica, tuttavia è possibile attribuire i primi due libri a Giacomo di Vitry, l’ultimo con molta probabilità a Oliviero di Colonia, entrambi prelati legati alla curia. Il terzo libro contiene anche un trattato dall’ incipit Dominus papa Innocentius, che sarebbe stato richiesto dal pontefice al patriarca di Gerusalemme allo scopo di avere una relazione sugli Arabi in vista dell’organizzazione della crociata. Giacomo di Vitry, Oliviero di Colonia e l’autore del trattato sembrano dipendere da una fonte comune: le loro opere, che descrivono la Terra Santa sia dal punto di vista naturalistico che in relazione alla società e ai costumi, si situano nell’ambito della propaganda alla quinta crociata.
La quarta crociata bandita dallo stesso Innocenzo III nel 1204, giudicata come spartiacque, ha suscitato una plurisecolare polemica fatta di accuse e contraccuse all’interno della cristianità occidentale (MARCO MESCHINI, Rileggere la quarta crociata, pp. 243- 47). Due aspetti dell’impresa sono stati pressoché dimenticati: la prima capitolazione di Costantinopoli nel luglio 1203 e la marginalità numerica dei conquistatori rispetto alla massa degli eserciti aventi come meta effettiva la Terra Santa. Altri elementi sono stati sottaciuti fino a creare un’interpretazione falsata. Innanzitutto, non è stato considerato il dramma e il dilemma del papa. Inoltre, troppo spesso l’impresa è stata interpretatata come una spedizione facente capo a pochi uomini in campo, mentre andrebbe rivalutato il ruolo svolto dalle intere comunità.
Non vanno dimenticati i contrasti fra cristiani occidentali e orientali. Gli uni e gli altri vantavano infatti la discendenza dall’imperatore Costantino, del quale si consideravano i diretti eredi ( CESARE ALZATI, "Eredi di Costantino": la romanità contesa tra Franchi e Bizantini, pp. 249-62).
Del resto, alla vigilia della prima crociata l’impero di Costantinopoli dovette affrontare a Oriente la minaccia turca, a Occidente la pressione dei Normanni, che, a partire dall’ultimo ventennio dell’XI secolo, erano gradualmente penetrati nel sud dell’Italia (LUIGI RUSSO, Convergenze e scontri: per una riconsiderazione dei rapporti greco – normanni nei secoli XI - XII, pp. 263-78). Talvolta si realizzò anche una convergenza di interessi, come nel caso degli accordi matrimoniali stipulati nel 1074 fra Michele VII Dukas e Roberto il Guiscardo, poi annullato in seguito a un rivolgimento dinastico. Successivamente si instaurarono rapporti anche fra Boemondo d’Altavilla e Alessio Comneno. E non mancano parvenu occidentali che riuscirono a fare fortuna presso la corte imperiale. Comunque si trattò pur sempre di convergenze momentanee, fondate sull’incontro di forze deboli rispecchianti le diverse impostazioni politiche delle quali erano espressione, e per questo destinate allo scontro.

Elena Necchi

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