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REVIEWS AND ARCHEOLOGICAL GAZETIN

La spada di Cangrande signore di Verona

Il 17 luglio dell'anno 1921 una ricognizione di studio all'Arca tombale di Cangrande Della Scala sopra l'ingresso di Santa Maria Antica in Verona portò al rinvenimento della spada del signore veronese.

La possente statua equestre e la spada di Cangrande vennero esposte nel Castello scaligero di Castelvecchio e solo nel 1987 in conseguenza del progressivo degrado della spada si provvide al suo restauro.

Da allora la spada di Cangrande e la statua equestre  finalmente restituite al loro antico splendore, possono essere ammirate al Museo di Castelvecchio.  

MISSER CAN DA LA SCALA FRANCA LANZA

In questa urna si riposa in pace l'ossa di Can, principe veronese, che per cercar altrui patria e paese è gionto al fin  de la sua contumace

Iscrizione sul bordo del sarcofago di Cangrande dettate da Rinaldo da Villafranca 1329.

Il figlio terzogenito della nobildonna Verde da Salizzole e di Alberto della Scala nacque nell'anno 1291 e si narra che la sua nascita venne preceduta da una premonizione della madre che sognò di dare alla luce un figlio che con il suo possente abbaiare avrebbe svegliato il mondo.

Il bimbo a cui venne dato il nome di Can Francesco nel corso della sua vita non smentì queste leggendarie aspettative: cresciuto all'ombra del padre Alberto ebbe modo ben presto di emergere.

L'undici novembre del 1294 festa di San Martino (protettore dei cavalieri) Can Francesco sebbene fosse ancora un bambino di tre anni ricevette durante la curia (festa militare indetta per festeggiare la vittoria conseguita insieme ai Padovani contro i Ferraresi) il cingolo, la cintura che lo consacrava cavaliere insieme al fratello il primogenito Bartolomeo e ai cugini Federico, Nicolò e Pietro. 

Il terzo fratello di Can Francesco Alboino ricette l'investitura a cavaliere insieme ad altri undici giovani in occasione della seconda curia nel 1298 e sarà proprio Alboino 10 anni più tardi a chiamare come voleva la tradizione, il diciottenne Can Francesco al suo fianco.

Alboino era succeduto al fratello Bartolomeo il quale aveva brevemente governato dopo la morte del padre avvenuta nel 1301 ma il suo non fu un lungo governo poiché morì all'inizio del 1304.

Ecco dunque subentrare l'accoppiata  Alboino e Can Francesco: quest'ultimo entrò nella vita politica con tutta la forza e l'energia che emanava la sua figura di aitante cavaliere (superava il metro e ottanta un vero colosso per la statura media del tempo) e con la sua affascinante e carismatica personalità.

In quello stesso anno  il giovane  e risoluto Can Francesco incontrò la giovanissima Giovanna d'Antiochia, splendida fanciulla la quale era di passaggio a Verona poiché diretta in Germania dove andava a sposare un ricco feudatario tedesco (impostole come consuetudine dei tempi dal padre).

Ma il classico colpo di fulmine sbocciò in un attimo: Can Francesco la convinse a restare e poco tempo dopo la condusse all'altare ed ella divenne la sua comprensiva e dolcissima sposa.

Da questo momento la storia di Verona visse pagine di grande splendore e gloria  ed il giovane Can Francesco cambio per sempre in Cangrande, il più splendido tra i nobili della famiglia Della Scala, signore di Verona per un breve ma intenso periodo.

Egli visse una vita piena e davvero intensa: ottenne amore e  gloria esercitando il potere con la spada e l'abilità politica di un grande ed illuminato stratega. 

Di lui Boccaccio disse "Fu uno dè più notabili e dè più magnifici Signori, che dallo Imperatore Federigo Secondo in qua si sapesse in Italia".

UNA SPADA PER CANGRANDE

Baroni e Marchesi, de tutti i paesi

gentili e cortesi qui vedi arrivare;

quivi astrologia con philosophia 

et de teologia udirai disputare.

Quivi Tedeschi, Latini e Franceschi

Fiamminghi e Ingleseschi insieme parlare.

BISBIDIS di Manoello Giudeo A.D. 1311

Il giorno 22 luglio 1329 a soli 38 anni tragicamente ma anche in modo grottesco per un uomo d'armi (si dice per una congestione dovuta ad un banale bicchiere di acqua ghiacciata) Cangrande della Scala moriva alle porte di Treviso, città nella quale entrava trionfale dopo averne ricevuto le chiavi.

Alla sua morte la Signoria scaligera era estesa dalla città attraversata dall'Adige fino a quasi tutto l'attuale Veneto, tranne una stretta fascia costiera rimasta alla Repubblica di Venezia. 

La biografia della vita e delle opere del signore di Verona è dettagliata e vastissima: conosciamo eventi, fatti e storie, legate al valore delle azioni militari e alla vita di corte, divisa tra uomini d'arme e cultori delle arti liberali tra cui spiccano i nomi di due grandissimi artisti il pittore Giotto e il letterato Dante Alighieri.

Tra croniche e documenti ancora in fase di studio attestanti le sue imprese, proponiamo un piccolo interrogativo che ci affascina perché tocca direttamente la nostra curiosità ed i nostri studi marziali.

Il dilemma al quale facciamo riferimento è tutto racchiuso nelle tre spade che accompagnano la storia del nobile signore veronese e che rappresentano un piccolo ma intrigante interrogativo che abbiamo trovato irrisolto e al quale ci proponiamo con questo ristretto studio di dare qualche risposta

 TRE LAME E UN INTRIGANTE INTERROGATIVO

Dunque tre spade.

La prima ad una mano e mezza ornava fino al 1800 la statua equestre del condottiero scaligero che la reggeva in verticale con cipiglio guerriero e della quale ancora oggi è visibile il fodero (si tratta della statua originale esposta al castello scaligero).

La seconda è uno stocco ben visibile sotto il braccio sinistro della figura di Cangrande scolpita sul sarcofago in pietra alle Arche Scaligere.

Infine per ultima la spada ad una mano che venne rinvenuta insieme alle spoglie e a sontuose stoffe all'interno dell'arca tombale nel sopralluogo del 1921.  

La domanda che ci siamo posti e che proponiamo per introdurre alcune riflessioni sul dilemma e fornire quindi alcune ipotesi è la seguente:  Queste spade sono davvero tutte e tre le armi da battaglia di Cangrande oppure solo una di queste fu veramente l'arma di molte battaglie?

Per rispondere o meglio per sviluppare ipotesi intorno a questa domanda si devono aprire scenari che coinvolgono la spada del nobile signore e una visione a più largo spettro sull'armamento del periodo.

UNA SPADA RITROVATA UNA SPADA SCOLPITA E UNA PERSA

"...invan sicuri con tutti loro arnesi,

per tutte le sue terre,

da messer Cane eran tutti difesi;"

Ad un primo sguardo non sembrerebbe esserci alcun dilemma: la soluzione potrebbe essere quella offertaci oltre un secolo fa' con il ritrovamento dell'unica spada a noi pervenuta e che venne rinvenuta accanto alle spoglie mortali di Cangrande.

Lo stato conservativo dell'arma al momento dei suo rinvenimento è ben descritto nel documento redatto durante la ricognizione all'arca del 27 luglio 1921: "La spada fu trovata assai corrosa dalla ruggine: elsa a croce, pomo e manico assai pesanti; il primo a forma di disco, è ora nudo e corroso, il secondo rivestito di sottile filo d'argento con una decorazione di fil di seta annodato; il fodero a giudicare dalle scarse reliquie doveva essere di cuoio coperto di velluto rosso e giallo con l'imboccatura di bronzo, decorata di semplici fogliettine trilobe; di bronzo sono anche gli anelli e i capi delle corregge ed il puntale. Intorno al fodero gira una grossa fettuccia"

Studi successivi sull'arma ed il restauro resosi necessario per il progressivo degrado dell'arma ed una più precisa catalogazione forniscono ulteriori ed interessanti riscontri che riportiamo: "Pomo ottagonale rilevato a mozzo, con tracce di doratura a foglia; impugnatura leggermente a fuso, rivestita di fili di argento (in lega di rame) alternati a fili in seta, a intreccio. Crociera ingrossata in mezzeria, con tracce di capetta, e bracci brevi e diritti: il tutto originariamente dorato in foglia. Lama a doppio filo, scanalata al primo terzo e lievemente stondata in punta, largamente frammentata. Fodero originariamente in legno rivestito in pelle sottile e velluto rosso, largamente frammentario; meglio conservate la cappa, la ghiera e il puntale, in lega di rame sottilmente incisa a fogliettine e dorata per amalgama; campanelle di attacco a mezzaluna, due sulla cappa ed una sulla ghiera. Cintura in cuoio, blindata alle estreme, originariamente avvolta al fodero. Lunghezza totale cm. 95

La spada così come ci viene presentata ha tutte le caratteristiche di un'arma da combattimento, tuttavia le tante finiture e abbelliture sembrano proprio quelle di solito dedicate ad un'arma il cui fine sia quello di far bella mostra di se al fianco di un nobile signore in tutte quelle occasioni in cui la lama non serva a "riparar torti" o a "chietar nimici".

Il dilemma sembrerebbe già dunque risolto, sennonché il grande studioso Lionello Boccia (con il Cavalier Jacopo Gelli uno tra i più grandi studiosi italiani di armi e armature) "scopre" un'altra spada e ne da in uno dei suoi bellissimi libri la seguente descrizione:

La figura di Cangrande scolpita sulla lastra che copre l'arca, eseguita qualche anno dopo, mostra il giacente con un lungo stocco dal pomo a mozzo sormontato dal bottone, impugnatura fasciata di stoffa con legacci intrecciati bracci brevi leggermente sottolineati verso il basso, con cappetta alla crociera.

E' un'arma in tutto simile a quella che compare a Napoli in Santa Restituita sulla lastra tombale di un Piscitelli+1331.

In effetti  nella statua giacente Cangrande  è raffigurato senza elmo con la spada appoggiata al petto e stretta sotto il braccio sinistro. 

Eminenti esperti come Francesco Rossi e il già citato Lionello G. Boccia, evidenziano come la spada raffigurata sul rilievo dell'Arca di Cangrande sia più propriamente uno "stocco" un'arma cuneiforme e con caratteristiche strutturali diverse dalla spada a punta dolce trovata all'interno dell'urna.

Quindi di riflesso secondo un ben radicato concetto di forma=funzione al quale fanno riferimento tutte le armi bianche, si tratta di un ferro da utilizzarsi (come vedremo) in maniera sostanzialmente diversa da quello rinvenuto all'interno del sarcofago.

Siamo così giunti alla terza arma e più precisamente quella che adornava la statua equestre di Cangrande ritratta in molte foto di fine Ottocento quando ancora la scultura equestre originale sovrastava l'ingresso della chiesa di Santa Maria Antica (l'attuale è una copia, l'originale come già detto si trova a Castelvecchio).

In questa bellissima e imponente raffigurazione del signore di Verona, il condottiero scaligero reggeva in verticale una lunga spada identificabile secondo un termine in uso nella catalogazione delle armi come spada ad una mano e mezza: quest'arma oggi non è più collocata sulla statua equestre ma è rimasto il lungo fodero a ricordare le dimensioni generose di una spada che segnò l'evoluzione nell'arte di schermire a cavallo dei secoli XIV e XV.

LA RICERCA

La ricerca di dati storico/marziali relativi all'argomento e più in generale per quanto riguarda lo studio della Tradizione marziale italiana è relativamente facile e allo stesso tempo estremamente laboriosa in quanto abbiamo in Italia un patrimonio vastissimo e inesauribile di fonti alle quali fare riferimento.

A CACCIA DI FONTI E INDIZI TRA PITTURA, SCULTURA, LETTERATURA 

La lettura e l'analisi degli antichi codici, delle croniche e degli statuti è con lo studio dell'iconografia artistica un valido insieme di fonti comparative.

Tra i numerosi documenti troviamo un bellissimo codice miniato del Trecento custodito nella biblioteca Comunale di Siena dove viene descritta con testo ed immagini la battaglia di Montaperti e i disegni mostrano uomini a cavallo armati di spada ad una mano darsi battaglia.

In un altro codice raffigurante la battaglia tra l'imperatore EnricoVII e le truppe guelfe romane si osservano colpi di fendente e spade tutte rigorosamente ad una mano caricate per colpire di punta o ancora di taglio.

Numerose sono anche le fonti scultoree relative a modelli in tutto simili a questa spada. 

Citiamo per brevità solo la lastra tombale di Filippo dei Desideri (+1315), la lastra tombale di Colaccio Beccadelli (+1341), la pietra tombale di Bernardino dei Baranzoni (+1345) e la lastra tombale di Jacopo dei Presbiteri (+1382).

La pittura ci offre altri  spunti di interessante comparazione : l'affresco di Altichiero da Verona nella Chiesa di Santa Anastasia, ritrae uomini d'arme della famiglia Cavalli con spade ad una mano in fodero.

Spade ad una mano con rami di parata leggermente ricurvi verso l'impugnatura  e lama stondata in punta sono impugnate da soldati appiedati nell'affresco di scuola lombarda di fine secolo XIII che rappresenta la cattura di Napo Della Torre (Rocca Borromeo ad Angera).

Anche nell'affresco proveniente dalla chiesa di San Francesco a Bergamo, intitolato "Madonna in trono i SS. Francesco e Caterina e due devoti" (1380), sono ben visibili al fianco dei due cavalieri inginocchiati le spade ad una mano e le daghe a rondelle.

Colpisce poi anche se di epoca più tarda, la straordinaria similitudine tra la spada di Cangrande e quella ritratta dal pittore Piero della Francesca, al fianco del cavaliere inginocchiato ( il duca Federico da Montefeltro) nella Pala di Montefeltro (1472) oggi alla Pinacoteca di Brera, la stessa spada si rivede ancora nel ritratto dello stesso duca e del figlio Guidobaldo (opera di Pedro Berruguette) esposta alla galleria nazionale di Urbino. 

Queste fonti, così come il riferimento a spade simili (ricordiamo la spada della tomba a Santa Reparata a Firenze, quella del gonfaloniere di giustizia Giovanni Dé Medici e quella che appare sulla lastra tombale di  Piscitelli nella chiesa di Santa Restituita a Napoli) attestano e confermano un "porto in arme" della spada, come quella descritta.

Troviamo conferma di questo anche nei bassorilievi che ornano il sarcofago di Cangrande: in uno in particolare, il signore Scaligero a cavallo vibra con la spada ad una mano, un fendente ( un colpo verticale discendente) su un soldato nemico.

Che su tratti di spada ad una mano non vi è alcun dubbio, mentre è impossibile stabilire che sia la stessa ritrovata nell'urna del condottiero.

Forse come per il Duca di Montefeltro  la spada ritrovata nell'arca era più probabilmente  la versione di lusso da portare "nei giorni di festa" di quell'arma da battaglia (più spartana e solidamente essenziale) sulla quale faceva affidamento Cangrande.

Conosciamo del resto un utilizzo cerimoniale diffuso di spade belle da vedere e in alcuni casi arricchite di reliquie e di particolari simbolici utilizzate nelle cerimonie di investitura.

Citiamo tra le tante la spada cerimoniale che venne cinta da Federico II durante la sua incoronazione a Imperatore nella cerimonia che si tenne a Roma il 22 novembre del 1220 e che venne collocata nella tomba palermitana dell'Imperatrice  Costanza d'Aragona.

L'ARTE DE ARMICAR TRA DUECENTO E TRECENTO

E' importante sottolineare come anche se con accurata analisi delle fonti e in base ad un lavoro di comparazione incrociata sia difficile individuare e definire la precisa tecnica  di armeggiare della spada perlomeno fino all'anno 1200.

E' di questo periodo infatti il primo Trattato d'armi oggi conosciuto come "Codice I 33" manuale scritto in latino(con fonemi germanici) e arricchito di numerose figure dipinte in cui un frate  in qualità di Maestro d'armi insegna ai suoi allievi la scherma di spada ad una mano e brocchiere (piccolo scudo da impugnare dotato sull'umbone o coppola di uno spuntone o brocco da cui ne deriva il termine).

Con maggior sicurezza e precisione filologica possiamo invece studiare e delineare la Scherma d'armi del Trecento (e naturalmente con sempre maggior chiarezza nei secoli successivi) a piedi, a cavallo ed in armatura.

Nel Duecento il maneggio e la tecnica di utilizzo vertevano sostanzialmente sul caricamento dell'arma in posizioni che consentissero azioni difensive quali stornare - deviare - parare/fermare l'arma nemica, oppure azioni offensive di attacco basate su colpi portati prevalentemente di fendente (colpi discendenti verticali con il filo dritto in basso) di traversone (colpi diagonali) e di punta.

I colpi di taglio e di punta erano inferti con forza e il caricamento prevedeva  una completa sollecitazione dell'articolazione spalla/gomito( il polso era praticamente bloccato e contratto dalla stretta della mano sull'impugnatura).

Per poter colpire con energia era necessaria una lama forte e tenace non solo per vibrare attacchi che penetrassero le piastre dell'armatura ma anche per bloccare i colpi avversi. La spada era dunque sottoposta a tremende sollecitazioni : i valenti fabbri del periodo per rispondere a queste esigenze forgiavano lame con un'anima "bollita" realizzata grazie a strati di acciaio dolce (tenero) e ferro, opportunamente sovrapposti.

Il tutto veniva poi  "incamiciato" da uno strato esterno di acciaio durissimo e temperato necessario per dare consistenza e "tenuta" ai fili.

Grazie a questi avanzatissimi sistemi di forgiatura si riusciva a mantenere elastica la lama e allo stesso tempo sodo e resistente il filo.

Il combattimento bastato sulla vigoria dei colpi e su azioni potenti di contrasto si mantenne perlomeno in ambito militare ed europeo fino ai primi del Trecento: la tecnica verteva sostanzialmente su di un sistema difensivo che prevedeva lo sbarramento o ingaggio ai colpi avversi fatto di parate colpo su colpo o "filo contro filo" eseguiti sull'arma nemica.

In Italia questo tipo di scherma venne ben presto soppiantatto da un lavoro con le armi teso a penetrare le difese avverse aggirandone o raccogliendone le linee di forza.

Questa scuola d'armi  aveva una visione ben più articolata, complessa ed efficiente (anche se sostanzialmente essenziale) del combattimento e alla filosofia del colpo su colpo di indole germanica  opponeva il colpo dentro il colpo grzie ad accorgimenti che sfruttavano tempo misura velocità e coperture dell'arma per raggiungere lo scopo.

A questa sempre più sofisticata arte di combattere la spada robusta e a punta tonda non confaceva più e non bastava più la spada ad una mano da usare a piedi e a cavallo.

Un "ecclettismo d'armi" proprio del momento storico  ci viene da un autorevolissimo testimone, il celebre Magistro d'armi Fiore dei Liberi da Premariacco, che visse tra la metà del Trecento e i primi decenni del Quattrocento.

Il Magistro friulano compose nel 1409 il bellissimo FLOS DUELLATORUM ( Trattato d'armi in latino medievale e volgare in cui si identifica il genoma della tradizione marziale italiana), nel quale insegna l'arte delle mani disarmate, la lotta con la daga e naturalmente la scherma con la spada ad una mano, ad una mano e mezza e a due mani.

Pur se completato nel primo decennio del Quattrocento il Trattato venne composto da Magister Fiore a 65 anni di età e la sua era quella scuola del Trecento, diffusa in molte parti della penisola e quasi sicurmente conosciuta anche da Cangrande.

 UNA MANO E MEZZA, STOCCO O UNA MANO ? 

La spada europea (definizione semplicistica ma tecnicamente compatibile con lo sviluppo armiero del periodo) nei secoli che stanno a cavallo dell'anno Mille è sostanzialmente ascrivibile ad un modello unico: si tratta di una spada con elso a bracci brevi e dritti, lama forte a sezione lenticolare (spesso larga al tallone e degradante verso il debole) e pomo consistente, il tutto a formare un'arma solida compatta estremamente adatta per poderosi colpi di taglio e meno adatta ai colpi di punta.

L'equilibratura di queste spade (ed in generale di tutte le armi lunghe bianche)si trova a quattro dita dall'elso se la spada è un'arma da manovrare di punta/taglio e più spostata verso il centro se la spada è un'arma da usarsi prevalentemente di taglio ed in modo "pesante". 

E' a questa "tipologia europea" che possiamo richiamarci per identificare la spada ritrovata nell'urna tombale. 

Si tratta di una spada ad una mano (quindi manovrabile tecnicamente con una mano sola in quanto l'impugnatura permette l'alloggiamento di una sola mano) lunga 95 centimetri, con una lama a doppio filo scanalata al primo terzo e lievemente stondata in punta, crociera ingrossata in mezzeria, con tracce di capetta ( accorgimento per fermare la spada al fodero) bracci brevi e diritti, manico rivestito con fili di argento e rame con pomo ottagonale rilevato a mozzo.

Due importanti annotazioni tecniche già citate precedentemente ci segnalano come la spada ritrovata possa essere considerata un'arma pesante (Lama a doppio filo, scanalata al primo terzo) in virtù del maggior peso in punta e da utilizzare per robusti  colpi di taglio  in quanto (... lievemente stondata in punta)e con punta addolcita non adatta a penetranti stoccate.  

Aggiungiamo che alla soluzione (foggia) della lama appesantita è ottenuta attraverso una sezione lenticolare o romboidale piena nella sua parte terminale (medio/debole) a cui si contrappone la prima parte della lama (tallone/forte) con  sguscio centrale che ne alleggerisce il peso  e soprattutto imprime con le due creste laterali originate dall'avvallamento, un ulteriore "indurimento" e "pesantezza" dei taglienti. 

Tuttavia l'arma di Cangrande ed in genere la spada italiana del periodo pur addolcendo la punta non arrivò mai a soluzioni "estreme" come quella ad esempio rappresentata dalla spada nota come katzabalger spada dei lanzchenecchi nella prima metà del XVI secolo che per la punta completamente stondata può essere utilizzata esclusivamente per colpire di taglio.

Ben diversa è la spada da stocco (termine che designa la funzione di un'arma da utilizzarsi quasi esclusivamente di punta) scolpita insieme alla figura giacente di Cangrande : nel caso dello stocco può trattarsi  tanto di una spada da una mano come da una mano e mezza sempre e comunque con lama acuminata e di forte sezione spesso senza sguscio, larga al tallone e via via  a restringere verso la punta, bilanciata in questo caso più vicino al polso di chi la impugna.

Uno stocco ad una mano molto bello è quello scolpito sulla lastra tombale di Tiberto Brandolini+1397 a Bagnocavallo San Francesco : il cavaliere in armatura completa impugna questa spada  e sembra in atto di colpire con un imbroccata ( termine rinascimentale coniato per identificare un colpo di punta tirato dall'alto verso il basso con il filo dritto della spada che guarda in alto e il pollice della mano in basso).

Nel caso della spada ad una mano e mezza parliamo invece di un'arma particolare per forma/funzione a cui si deve una sostanziale "evoluzione schermistica" nel maneggio del ferro che vide la sua progressiva affermazione proprio nel periodo storico in cui visse Cangrande della Scala.

Si tratta di una spada a costola o nervata, spesso dotata di punta acuminatissima (come nel caso dello stocco) adatta a schiodare con potenti colpi di punta le armature in piastra nemiche e che allo stesso tempo consentiva azioni di taglio operate con un movimento più stretto ed economico delle pesanti spade a punta dolce.

Per la sua lunghezza superiore alla spada ad una mano ( da 100 a 120 centimetri) e soprattutto per il manico (che permetteva di impugnare a cavallo l'arma ad una mano e a terra con a due  mani andando in parte alla presa sul pomolo da cui deriva il termine una mano e mezza), la spada venne indicata anche il nome di bastarda ovvero insidiosa, ingannevole, in virtù dei diversi giochi d'arme possibili.

Una spada ad una mano e mezza davvero bella si può ammirare al Museo Civico Luigi Marzoli a Brescia: si tratta di un'arma molto ben conservata la cui lunghezza arriva ai 120 centimetri con pomolo a pera sfacettato ed elso allungato a punte ribassate.

La lama pur di forma acuminata non è propriamente uno stocco in quanto la sezione lenticolare per tutta la lunghezza della stessa sembra escluderne un tale utilizzo. 

Un'altra spada sempre ad una mano e mezza molto bella è quella del Museo di Castelvecchio di Verona.

E' un'arma della seconda metà del sec. XIV: lunga in totale 112 centimetri, presenta pomo circolare rilevato a mozzo quadrato, codolo prismatico reso evidente dalla mancanza dell'impugnatura (probabilmente in legno rivestito in pelle andati consunti dal tempo in quanto la spada proviene da uno scavo), elso a bracci dritti, lama appuntita a sezione esagona nel forte e a sezione lenticolare nel debole.

La sezione esagona al forte (ovvero il 1/3 della lama gli altri due terzi sono equamente ripartiti tra medio e  debole) rivela la necessità strutturale di irrobustire la lama per evitare flessioni della stessa nei colpi di punta.

Quest'ultima secondo la nostra ipotesi potrebbe essere la spada che per fattura e forma più si avvicina a quella che Cangrande della Scala utilizzò in arme in sella al suo destriero.

 IPOTESI ATTRAVERSO LABORATORI SPERIMENTALI

Lo studio delle armi bianche e della Scherma Marziale (medievale, rinascimentale, classica e dei secoli a noi più vicini) ha nell'ultimo decennio avuto grande sviluppo in Italia.

E' proprio grazie a questo rinnovato interesse intorno alla pratica dell'antica arte di schermire che si sono aperti sorprendenti prospettive di sviluppo di studio e di definizione tecnica del patrimonio storico/culturale appartenente a questa tradizione.

La ricerca quindi non si "limita" più a quei contesti teorici che vedeva coinvolto il mondo culturale collegato agli storici e si è allargata alla sperimentazione pratica. 

Alcuni di questi gruppi  operano all'interno di laboratori di libero stato dell'arte in cui allo studio teorico si affianca  la sperimentazione del più probabile gesto tecnico.

con l'obbiettivo di individuare un modus operandi che vuole essere insieme interpretativo e filologico.

A questo si aggiunge il supporto fondamentale originato dalla realizzazione di tutta una serie di riproduzioni (sulla base dei dati raccolti e studi comparativi) operate da valenti artigiani.

Queste riproduzioni ambite da appassionati e collezionisti vengono utilizzate anche da studiosi e ricercatori per operare con sempre maggior precisione e qualità nel difficile compito di sperimentazione.

Da questi laboratori sperimentali si raccolgono così tutta una serie di dati empirici la cui importanza peserà sempre più in futuro(con le dovute cautele si possono testare e  "soppesare" le diverse tecniche nelle varie azioni di Scherma) sulla reale comprensione dell'arte de armicar.

CONCLUSIONI

Scrivere la parola fine in questo lavoro non è certo possibile e non è lo scopo che ci eravamo posti con questo nostro breve studio.

L'ipotesi finale che ci sentiamo di suggerire è che forse fu proprio il periodo in cui visse il signore Scaligero a determinare l'utilizzo di spade così diverse, naturalmente in relazione ai contesti.

Sappiamo che una o tutte queste furono le armi di un uomo d'arme che come molti altri del suo tempo si trovò ad affidare il proprio destino,  la ricerca della gloria e del potere, al suo acume politico e alla punta di una spada.

Bibliografia

Statuti di Verona del 1327

Codice I 33 

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Carrara M., Gli Scaligeri - Milano 1966 

Simeoni L., Studi storici veronesi,  vol. X -  1961 

Solinas G., Storia di Verona  - Verona 1964

Magagnato L., Arte e civiltà del Medioevo veronese - Torino 1962

Orti Manara M.,  Cronaca inedita dei tempi degli scaligeri

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Graziano Galvani

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